sabato 24 aprile 2021

Mi importa di te

 

Io sono il buon pastore… o in modo più preciso il “bel” pastore (dal greco kalos, bello) e “do la mia vita per le mie pecore” (che tradotto in maniera più esatta significa “disporre la mia anima in favore di”). Così questa domenica Gesù parla al nostro cuore. Usa immagini semplici legate alla vita semplice del suo tempo per indicare una verità eterna, che non finisce: il suo amore per noi, forte e personale, la sua cura per la nostra vita, la sua guida costante. Gesù si paragona a un pastore che non è un mercenario, a cui non importa delle pecore. 

Questo è il punto decisivo della vita: scoprire che al Signore importa di me, e gli importa a tal punto da aver dato la sua vita per consentirmi di vivere. In fondo questo è anche il dato decisivo di ogni esistenza: finché la persona non si sente addosso lo sguardo di amore di Dio, che gli dà fiducia, che gli dice “mi stai a cuore”, “sono orgoglioso di te”, finché non si fa questa esperienza davvero sconvolgente, non si comprende questo vangelo e la sua potenza. La bellezza di Gesù è la bellezza del suo amore divino che ci strappa davvero dalle nostre angosce esistenziali, e vi mette dentro la sua pienezza spirituale. 

Affidarci a Maria significa per noi cominciare un percorso nuovo, dove non siamo al centro noi coi nostri bisogni, ma gli altri, specialmente quelle persone che sono ancora girovaghe dell’esistenza, alla ricerca di uno sguardo che le salvi. Queste persone sono in pericolo come le pecorelle smarrite, perché finché non riposeranno in Dio, cercheranno la vita dove vita non c’è e perciò potrebbero farsi anche molto male. Come Maria noi vogliamo fare di tutto affinché le persone che incontriamo si lascino incrociare da quell’unico sguardo capace di cambiare la vita. 

San Massimiliano Kolbe ci incoraggia: “Non possiamo darci riposo finché nel mondo c’è un’anima in pericolo, che non conosce ancora l’Immacolata. Non ci deve frenare la nostra fragilità umana, la scarsità di mezzi o qualunque altra difficoltà del mondo; confidiamo in Maria,  mettiamoci veramente nelle sue mani e continuerà a vincere le battaglie di Dio” (cf. Conferenze).

 

25 aprile 2021

Gv 10,11-18
IV Domenica di Pasqua

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:« 11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. 
14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio»

 

sabato 17 aprile 2021

Sono proprio io

 


Uno degli aspetti più belli del vangelo di questa domenica è il momento forte in cui i due discepoli di Emmaus, ormai tornati a Gerusalemme, raccontano agli apostoli il loro incontro con Gesù risorto mentre erano in cammino. Dove sta il punto decisivo? Nel fatto che mentre raccontano dell’incontro, Gesù in persona appare in mezzo a loro. Con la sua bellezza divina che affascina tanto che gli apostoli sono pieni di gioia e stupore e perdono quasi il contatto con la realtà. Ma Gesù non poteva trovare un altro momento per farsi presente? Doveva proprio essere l’attimo in cui i due stavano raccontando di lui? Interessante. Sembra che il Signore ci dica che ogni volta che viviamo il vangelo, che ci prendiamo cura degli altri, che facciamo il bene, lui stesso è con noi. Certo, lui è sempre con noi. Ma nel fare il bene noi lasciamo agire lui, collaboriamo con il suo sforzo di amore. Diamo un contributo attivo al miglioramento di questo mondo, rendendolo un poco più umano. Non è un caso infatti che Gesù chiede da mangiare. Non perché ne ha bisogno ovviamente, ma per fargli e farci capire che lui abita le nostre vite, le nostre cose, le nostre relazioni, sta dentro alle nostre quotidiane esperienze, è un Dio vicino, anzi vicinissimo, con cui confrontarci per tutte le nostre decisioni, dubbi, domande. Dalle più piccole alle più importanti. Lui c’è. Costruisce con noi. Parlando della sua passione, ci aiuta a non avere paura della vita, delle prove, perché il terzo giorno risorge, e così ci indica il processo dentro cui possiamo abitare anche noi, qualunque cosa possa capitarci. Maria pure è passata per questa esperienza di morte e risurrezione tante volte, e noi, nell’affidarci a lei siamo certi che ci aiuterà a vivere con pace questa profonda verità inscritta in noi e nell’universo intero. Quale pace? La pace che il risorto ha donato a lei, e dona a noi come segno potente della sua azione di grazia. Per questa pace vale la pena vivere e raccontare a tutti il nostro incontro con lui. 

18 aprile 2021

Lc 24,35-48
III Domenica di Pasqua

In quel tempo i due discepoli 35narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane. 36Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 37Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. 38Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». 40Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». 42Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
44Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». 45Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture 46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni.

 

sabato 27 marzo 2021

Lacrime che salvano

In questa domenica delle Palme celebriamo la Passione del Signore. Cosa significa Passione del Signore? Gesù accetta liberamente di entrare nell’abisso del dolore e dell’angoscia per salvarci quando anche noi siamo in questo stesso abisso. Tutto ha assunto della nostra umanità, compresa la prova grande del dolore innocente e della morte. Celebriamo la passione, l’amore appassionato che Dio ha per noi, spinto fino al punto di volersi caricare di tutte le nostre magagne per darci la possibilità del perdono. 

Nell’orto degli ulivi, poco prima di essere ucciso, Gesù dice: «la mia anima è triste fino alla morte» e Marco dice che provò paura e angoscia. Un insegnamento per noi: non dobbiamo fuggire la nostra creaturalità, con Gesù possiamo stare nel dolore e nel tempo della prova con dignità e forza d’animo, sostenuti da lui. Gesù infatti dopo aggiunge «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu». Nel buio del dolore si accende la luce: l’amore invincibile del Padre. Questo amore fa dire a Gesù “sia fatta la tua volontà”, disponi tu, a te mi abbandono. Con te posso tutto, anche l’impossibile per la natura umana.

In mezzo al racconto della Passione sta pure il pianto di Pietro. Pietro ha paura di affrontare anche lui la croce si difende dalla realtà e dice di non conoscere Gesù. Ma poi, toccato nel profondo del cuore dalla grazia, capisce che abisso di amore si nasconde in Gesù e, scrive Marco, «scoppiò in pianto». Queste lacrime liberatorie che accolgono la vita e il perdono di Dio sono fiumi di consolazione nell’ora della prova, quando non abbiamo parole, non sappiamo come risolvere il nostro dolore. Ma Dio lo sa.

Il vangelo si chiude con l’immagine della pietra che chiude il sepolcro in cui è sepolto Gesù ormai morto. Marco aggiunge: «Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove veniva posto».

Uniamoci a Maria, nostra madre, e alle donne in questa domenica, restiamo anche noi davanti alla grande pietra che sembra mettere la parola fine alla speranza e ripensiamo alle parole di Gesù che si rivolge al Padre chiamandolo Abbà, Papino mio, mia roccia, mia difesa, mio unico rifugio, mia eterna salvezza.

Maria e Gesù ci dicono oggi con forza che possiamo attendere l’impossibile che si manifesterà dietro quella pietra enorme… possiamo attendere la Luce. Ma ora restiamo nel buio, non fuggiamo anche noi, abbiamo il coraggio e la fiducia di stare e, stando, di sentire l’abisso di dolore e nello stesso tempo l’abisso di misericordia che presto farà rinascere germogli di vita innaffiati dalle nostre lacrime.

                                                                      Vangelo

La passione del Signore

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco
cf. Mc 14,1 - 15,47

Giunsero a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli: «Sedetevi qui, mentre io prego». Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate». Poi, andato un po' innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell'ora. E diceva: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu». 

Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: «Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». E scoppiò in pianto.

Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch’egli il regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, gli domandò se era morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro. Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove veniva posto.



sabato 13 marzo 2021

La luce c'è ma spetta a te

 

Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.

Immaginiamo una notte stellata all’epoca di Gesù e Nicodemo che proprio nel cuore della notte va da Gesù, spinto dal desiderio del cuore di sapere di più di questo maestro di Nazaret. E durante il grande colloquio sul rinascere dallo Spirito, Gesù gli fa una rivelazione immensa: non sono venuto per condannare ma per salvare. Il puntare il dito, il criticare, lo svalutare, il fare da maestri saccenti e giudicanti sono tutte prerogative squisitamente umane. Tutto questo è estraneo al volto di Dio. Dio è padre misericordioso. Non ha altre definizioni. Anche quando è giusto, la sua giustizia va dritto al cuore delle cose, non all’apparenza, dunque non ha nulla a che vedere con la giustizia umana, tante volte profondamente ingiusta. Gesù viene per salvarci. Strapparci dall’attaccamento alle nostre false identità per farci liberare da lui, liberare dal male e liberare dalle false immagini di noi e di lui.

E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 

Qui Gesù sta dicendo una cosa grande: non è lui che giudica, ognuno si auto-giudica nel momento in cui, raggiunto dalla luce di Cristo, l’accoglie o sceglie di restare al buio. Ogni istante con quello che scegliamo e deliberiamo facciamo sì che la nostra persona resti nella luce oppure se ne stacchi per farsi trascinare dal buio. Abbiamo un’idea ingenua della vita spirituale: pensiamo che tutto si compia da sé, per la forza dello Spirito. Ed è vero che è Dio a salvare e darci lo Spirito e la pace, la guarigione profonda e il perdono, ma è anche vero che è nostro compito rimanere in lui, portare avanti quella che da sempre nella vita cristiana si chiama lotta spirituale. Il buio incalza, ogni istante i cattivi pensieri, primo fra tutti lo scoraggiamento, allungano le loro ombre su di noi, offrendoci i ragionamenti più curiosi pur di massacrarci e strapparci la pace di Cristo. Ogni occasione è buona per farci allontanare dalla luce. 
Noi che ci siamo affidati a Maria e vogliamo crescere in questo essere figli, impariamo da lei l’arte di custodire nel cuore la Parola di Gesù, la sua voce che con sola e guida, che sempre crea e costruisce del bene in noi e intorno a noi. Maria donna forte ci aiuta a non mollare la lotta interiore, anzi a renderla sempre più una virtù, un qualcosa che facciamo stabilmente per conservarci nella zona di influenza dell’amore di Dio e non cedere mai al cono scuro del male.

 

14 marzo 2021

Gv 3,14-21
IV Domenica di Quaresima

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «14Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. 16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.

19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

 

sabato 6 marzo 2021

Nella crisi l’inizio

 

Il gesto di Gesù nel vangelo di questa terza domenica di Quaresima lascia stupiti: cosa vorrà dire il fatto che ha scacciato buoi, pecore e colombe dal tempio? Che significato ha? Ci sono nella Bibbia alcuni momenti in cui i profeti fanno dei gesti detti appunto profetici, che vogliono spiegare qualcosa, annunciare qualcosa. Ora l’offerta di animali era una usanza religiosa non solo degli ebrei ma di tanti popoli, un modo con cui ottenere aiuto dal Signore. 

Gesù con questo gesto allora crea una spaccatura, genera una crisi: è finito un tempo, ne sta iniziando un altro. Dio cerca figli, figli che lo amino, si lascino amare e si fidino di lui, gli permettano di camminare con loro. Ciò che Gesù cancella sono le false immagini di Dio. Dio si conosce nel volto misericordioso di Gesù, che è venuto a sanare e guarire i nostri cuori e quindi le nostre esistenze. E questo amore è gratuito, ci precede e ci avvolge. Il vero tempio infatti è il corpo di Cristo, è la sua persona da accogliere. 

Anche in questo tempo di pandemia si è aperta una spaccatura in noi. Vederci isolati, impossibilitati ai contatti fisici, limitati in tante cose, esposti all’incertezza del domani, e preoccupati per tanti che soffrono in vari modi, ci fa sentire tutta la durezza di quanto stiamo vivendo. Eppure come Gesù ha generato una crisi per poterci donare qualcosa di molto più grande di quello che avremmo potuto anche solo immaginare e cioè se stesso, la relazione con lui, così anche in questa crisi stanno palpitando nuove forme. È una chiamata generale all’autenticità, e la domanda da farsi è: Ma tu, chi sei davvero? Quali sono i tuoi desideri più veri? Vuoi scommettere su Dio e farti sorprendere? “Sono venuto perché abbiate la vita”, dice Gesù, “e l’abbiate in abbondanza”. 

Forse il maggior guadagno di questo tempo di prova sta nel darci il permesso di sperimentare l’abisso che siamo per farci sorprendere dall’abisso di misericordia che ci sostiene. È una vertigine, ma genera salvezza. Nel momento di massima prova nel deserto il popolo d’Israele è stato nutrito da Dio, che ha perfino fatto piovere cibo dal cielo e lo ha portato come un padre porta un figlio. Questa crisi può essere il tempo favorevole per rischiare la fiducia, permettendo a Dio di essere Dio, il nostro Dio. 

San Massimiliano Kolbe direbbe: «Lasciamoci dunque guidare, siamo quieti, quieti, non pretendiamo di fare più di quello che lei vuole, oppure più presto. Lasciamoci portare da Maria, penserà a tutto, provvederà a tutti i nostri bisogni di anima e di corpo; diamo a lei ogni difficoltà, dispiacere e confidiamo che ci penserà meglio di noi. Dunque pace, pace, molta pace nell’illimitata confidenza in lei» (SK 56).

7 marzo 2021

Gv 2,13-25
III Domenica di Quaresima


In quel tempo, 13si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 15Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». 17I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà.
18Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». 19Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». 20Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». 21Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
23Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. 24Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti 25e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull'uomo. Egli infatti conosceva quello che c'è nell'uomo

 


sabato 27 febbraio 2021

Il tuo volto io cerco

 




Il vangelo della trasfigurazione ha una forza particolare. Ci assicura che anche se nella nostra esistenza esiste la prova, nella prova siamo sostenuti da lui e nella prova, anche l’ultima, quella della morte fisica, siamo liberati. Dunque tutto quanto di doloroso e faticoso possiamo sperimentare è destinato a sfociare in una esperienza di trasformazione. San Paolo dirà: le sofferenze del qui ed ora non sono paragonabili alla felicità che ci aspetta. Pietro, Giacomo e Giovanni vanno per noi sul monte e sul monte vedono l’aspetto di Gesù modificarsi. Il suo volto umano brilla di una luce intensa, fenomeno che non esiste in natura, e che nessuno potrebbe auto-prodursi. Fanno l’esperienza di essere accanto a Dio, di poter toccare Dio, di essere invasi dalla sua grazia, dal suo amore. Pietro è infatti così commosso che non sa cosa dire e cerca di trattenere il tempo, proponendo di costruire tre tende come per fermare quell’attimo di gioia intensa. Gesù, dopo questo segno, gli chiede invece di tornare alla vita quotidiana, e di non raccontare nulla fino alla sua risurrezione dai morti. Marco commenta scrivendo che loro “si chiedevano cosa volesse dire risorgere dai morti”. 

Noi non possiamo comprendere la vita della grazia finché non è il Signore che ce la dona, che ce la fa gustare. Non possiamo capire la logica del vangelo, e sentire compassione per tutto quanto esiste attorno a noi se non è Gesù che ci cambia il cuore. Crediamo di sapere ma sappiamo solo quello che fino a questo momento abbiamo acquisito nella vita. Ma la vita è molto altro ancora. Siamo ciechi finché il Signore non spacca il guscio del nostro limite e ci riversa dentro la sua vita. Gesù dopo essersi trasfigurato annuncia la sua morte, mentre vive la gioia parla del dolore e poi della risurrezione. Nella fine c’è un inizio, e quando qualcosa ricomincia, passerà per una prova, per poi rinascere ancora. 

I discepoli tornano a valle con il volto luminoso impresso nell’intimo. Ora sono pronti per vivere davvero, perché la vita non è più il luogo delle conquiste illusorie, dal momento che la conquista più grande, che è Gesù, ora è dentro di loro. 

Il nostro affidamento a Maria trova in questo volto luminoso e caldo del Signore il suo senso: ci affidiamo per incontrare più facilmente quel volto, ci affidiamo per custodire più profondamente quel volto, se lo abbiamo già incontrato. Maria ci aiuta a custodire questo tesoro dalle parti di noi che vorrebbero toglierci la fiducia, strapparci lo stupore dell'incontro. Lei ci aiuta a fare memoria, a mantenere caldo il legame con il Signore. Sul monte il Padre celeste ci chiede di ascoltare Gesù, e Maria ci dice "fate quello che Gesù vi dirà". Non c'è consolazione e forza maggiore di quella che viene quando siamo nella prova e abbiamo nella Parola di Dio una parola che ci sostiene, che ci conosce e sa dirci ciò che solo ci serve per fare un passo e poi un passo ancora. 

 

28 febbraio 2021

Mc 9,2-10
II Domenica di Quaresima

In quel tempo, 2Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro 3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. 5Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 6Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. 7Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!». 8E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. 10Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

sabato 13 febbraio 2021

Risanati dentro

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.

Chi era il lebbroso all’epoca di Gesù e chi rappresenta oggi? A quell’epoca il lebbroso era un uomo non solo malato gravemente e contagioso e perciò solo, allontanato dalla gente, ma anche una persona che secondo l’idea distorta degli ebrei di allora era responsabile di grandi peccati per cui quella era la sua punizione da parte di Dio. Il lebbroso viveva in luoghi come caverne, senza affetti, contando solo sulla misericordia di qualche persona buona che gli lasciava del cibo tendendosi a debita distanza.

Il lebbroso può essere una parte di noi, quella parte ferita e ammalata che tante volte diventa causa di sofferenze perché non viene riconosciuta, elaborata e risanata. È quella parte che viene fuori in automatico, senza chiederci il permesso, e combina guai. Si tratta di reazioni violente, aggressive, oppure di tendenze al controllo, al dominio, o anche parti che sfiorano la psicosi, e portano a vittimismi, manie di persecuzione, convinzioni distorte come quelle di chi è convintissimo che dagli altri ci si possa aspettare solo male. Sono tante le patologie dell’anima.

Il lebbroso non poteva secondo le norme avvicinarsi a qualcuno. Questo lebbroso invece contraddice la norma e si accosta a Gesù. Il lebbroso sceglie in modo diverso da come gli era stato insegnato. Mette in discussione un certo modo di pensare e non si ritiene punito da Dio, non accetta questa immagine falsa di Dio. Ci insegna  perciò a non tenere lontana questa parte di noi come se fosse un lupo da cui scappare, ma a guardarla in faccia, chiamarla per nome e andare da Gesù, supplicarlo, aspettare il suo perdono, il suo aiuto.

Anche Gesù contravviene alla norma e lo tocca guarendolo. Gesù non ha altro desiderio che quello di risanarci, di venire a versare il balsamo della sua grazia sulle parti dolenti della nostra storia. La volontà di Gesù è chiara: «Lo voglio, sii purificato!». E il lebbroso si ritrovò guarito davvero. Poteva anche non toccarlo e risanralo comunque, ma Gesù risana mettendo proprio il dito nella nostra piaga. 

Al di là della tempistica, del fatto cioè che il lebbroso viene guarito all’istante, quello che conta è la dinamica di guarigione: qualunque nostra malattia interiore può essere risanata dalla grazia. Non ci sono casi impossibili! Per la logica del mondo, se commetti degli errori gravi sei marchiato. Per Dio non è così. Il suo amore, il suo perdono sono capaci di ridarci tutta la salute interiore. I tempi e i modi cambiano, le guarigioni richiedono cammini, tempi lunghi, perché occorre entrare in un altro modo di pensare. Al Signore interessa che impariamo a diventare uomini e donne di fede, non persone che sono state esaudite senza cambiare il cuore. E anche a noi fa bene soffrire la nostra trasformazione, perché abbiamo bisogno di umanizzare la nostra natura, di andare in profondità. Solo così potremo a nostra volta aiutare gli altri.

Maria a cui ci siamo affidati è stata una persona di interiorità. Ha saputo tenere nel cuore tutto quanto le capitava e ascoltava, permettendo alla vita di svilupparsi, e al progetto di Dio di germogliare, spuntare e poi lentamente prendere forma. Maria come madre della grazia ci accompagna ogni giorno affinché apriamo il cuore al Signore, ci fidiamo, e ci lasciamo curare e guarire.

 

                                           Vangelo

La lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 1,40-45

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

 

La Via della felicità