lunedì 25 dicembre 2017

L’incanto di essere amati così

La gioia più grande può farsi strada ed esplodere nei cuori: Maria ha dato alla luce Gesù, il Salvatore del mondo (cf. Lc 2,1-14). Vangelo intenso e ricco di dettagli, profondo e allo stesso tempo concreto, ancorato alla storia, questa nostra storia tanto limitata eppure segnata da un nuovo inizio, da una stupefacente rivelazione. Dio è davvero entrato nelle pieghe della nostra umanità. Non apparenza, non semplice messinscena, ma il Verbo si è fatto carne, ha proprio assunto la nostra condizione mortale, tant’è vero che sulla croce sarà Lui a morire, a donare fino all’ultima stilla del suo sangue, Lui, il Dio fattosi Uomo. Un fantasma non può morire. Gesù è entrato nella storia e ha messo la sua tenda in mezzo a noi piangendo come un qualsiasi altro neonato, bisognoso di carezze e di latte materno.

Da un lato i potenti di questo mondo: Cesare Augusto, Quirinio. Dall’altro i semplici, Giuseppe e Maria, due giovani sconosciuti della periferia d’Israele. Mentre la storia e le nostre storie seguono un certo corso, c’è un’altra storia invisibile che si delinea al di sotto e che è quella tracciata da Dio nella quale siamo chiamati a entrare. Un sentiero santo sul quale camminare, tenendo lo sguardo fisso alla meta. Maria e Giuseppe erano già a Betlemme, dunque avevano un alloggio. Per i semiti l’ospitalità era sacra e non avrebbero mai lasciato i due all’aperto. Il posto che non c’era – a detta di diversi esegeti – fa piuttosto riferimento al fatto che la stanza in cui stavano era abitata anche da altri e quindi bisognava cercare un angolo più riservato in cui poter vivere il momento delicato del parto. È così che Maria e Giuseppe si ritirano nella parte interna, che spesso era una grotta scavata nella roccia.

Dio in Gesù ci viene incontro come un neonato per metterci di fronte alla rivelazione del suo vero volto. Non un Messia come lo aspettavano, potente e quindi che avrebbe eliminato tutti i mali e i peccatori e avrebbe instaurato un regno di pace, ma un Messia debole, venuto a condividere la nostra condizione di precarietà e di limite, venuto a mostrarci una modalità nuova di vivere, in cui ci si fida e ci si affida a un Dio che ci ama e ci conduce. Un Dio compagno di viaggio, che ci propone di farci modellare nell’intimo dal suo modo di pensare e di agire, e che ci fa partecipi della sua forza d’amore. Un potere che non acquistiamo da noi e non è diretto a dominare gli altri, ma un potere che Lui ci dà e che impariamo in un cammino di quotidiana conversione e trasformazione di affetti e pensieri.

Questo neonato davanti al quale ci poniamo oggi ci meraviglia! È lo stupore dei pastori. Che ci sembrano tanto simpatici e pittoreschi nella loro semplicità, ma che all’epoca erano disprezzati al pari dei pubblicani e degli altri impuri. E in effetti molti di loro, essendo malpagati, erano briganti, perfino omicidi. Dunque gli ultimi, a cui era vietato entrare nel Tempio. Perciò sono colti da stupore mentre si vedono avvolti di luce, cioè mentre fanno l’inaudita esperienza di sentirsi profondamente accolti e incondizionatamente amati. È questa la gioia che nasce dall’annuncio dell’angelo. Siamo amati così e questo amore ci salva e ci trasforma a immagine del Figlio di Dio. 

Ancora una volta anche noi ci sentiamo messi sottosopra dal nostro Dio che continua a venire in modi inaspettati, costringendoci ogni volta a cambiare qualcosa del nostro modo di vedere, di sentire, si percepire e percepirci. Davanti a questa mangiatoia l’incanto rinasce mentre intorno è notte. Sì, Maria con noi è intrisa di stupore e con lei Giuseppe e i pastori e l’intero cosmo. Gesù mi dichiara il suo amore, mi mostra il volto di un Dio innamorato, tende verso di me le sue manine, e in me nasce, per restare, per camminare al mio fianco, per parteciparmi la sua forza divina. Mentre intorno è notte. La luce si fa strada e vince ogni notte. Buon Natale ad ogni cuore!

sabato 16 dicembre 2017

Essere Parola

Sono voce: questo dice Giovanni Battista di se stesso nel Vangelo di questa domenica (cf. Gv 1,6ss). Si vede dal punto di vista della sua identità più profonda. Un figlio amato dal Padre celeste, che sa chi è e perché vive, e ha chiaro il compito affidatogli nella vita. Avere senso e direzione sono le cose più necessarie per ognuno di noi. Non è un caso che i giovani specialmente - ma non solo – si chiedano: ma io chi sono chiamato ad essere? Una domanda che preme, che urge dentro, che è impellente e che richiede lo sforzo di essere presa in seria considerazione, se non si vuole fallire il bersaglio. Il Battista si definisce “voce” e ci indica un criterio: per esser voce bisogna sapere cosa dire e quindi il Battista si presenta come un ascoltatore attento della voce di Dio. Come potrebbe se no parlare in nome di Dio, dire la Sua Parola? Farsi portavoce di un Altro? 

Allora per capire chi siamo e qual è il compito che ci riguarda nella vita, dobbiamo farci grandi ascoltatori della Parola di Dio. Non occorre una grande conoscenza, occorre la tenacia interiore – tipica di questo tempo di Avvento – che ci fa iniziare ogni giornata col piede giusto, ossia con l’ascolto del Vangelo. Non io per primo, ma Dio per primo. Un criterio facile facile, eppure troppe volte disatteso, incompreso  e sottovalutato. Ma il grande salto della fede e della vita, la grande svolta avviene qui, nell’ascolto fiducioso della sua Parola per noi, per me, per te. Ci si educa a questo, nulla è spontaneo nell’uomo, se non le funzioni più elementari. Il resto di ciò che è umano e ci umanizza va conquistato con l’esercizio, l’impegno, l’attenzione del cuore. Ci vuole profonda concentrazione per arrivare a leggere la Parola come assetati. Bisogna sentirla questa sete del cuore, questo bisogno di senso da dare alla giornata, alla vita, ai fatti che ci accadono. Il dialogo con Gesù accade nel raccoglimento, e per raccogliersi ci vuole lo sforzo di concentrarsi e restare in Lui, nella Parola. Il risultato di questo ascolto è l’incontro vivo con Dio, col Padre, con nostro Padre. E se c’è questo, c’è il coraggio un po’ folle di puntare tutto sulla Parola ascoltata. 

Quando Maria dice all’angelo "Avvenga", sta appunto dicendo a Dio di affrettare i tempi, di compiere ciò che vuole compiere. E così ci insegna a credere a ciò che ascoltiamo. Credere non vuol dire che miracolosamente aderiamo senza dubbi alla Parola, credere vuol dire scegliere di appoggiarsi a questa Parola e rischiare tutto su di essa. Maria, il Battista, i profeti, sono alcune delle figure tipiche dell’Avvento. Uomini e donne segnate da un'unica caratteristica: vivere la Parola, seguirla sine glossa, direbbe san Francesco, farla così come ci arriva, aprirci come bambini al dono del Padre, anche quando stiamo chiedendo qualcosa che stenta a concretizzarsi, soprattutto quando situazioni dolorose non si risolvono ancora. Questo è il momento di fare la Parola, come Maria, come il Battista, il momenti di non smuoversi dalla certezza – quella caparbietà tipica dei bambini, dei figli che si affidano – che alla fine sgorgheranno fiumi nel deserto… non per opera nostra, ma perché Dio lo farà per chi avrà creduto: “Io cambierò il deserto in un lago d’acqua, la terra arida in zona di sorgenti” (cf. Is 41ss). 

sabato 9 dicembre 2017

Preparare il cuore

«Viene colui che vi battezzerà in Spirito Santo». In questa seconda domenica di Avvento, il messaggio del Vangelo di Marco punta sui concetti forti della venuta e della preparazione (cf. Mc 1,1-8). Gesù viene. Perciò il Battista lo aspetta e aiuta anche gli altri ad aspettarlo nel modo più conveniente. Nessuno prepara qualcosa in vista di niente. Quando ci sono preparativi, è perché sta avvicinandosi qualcosa o qualcuno. In genere quando prepariamo un ambiente per accogliere qualcuno, siamo nell’atteggiamento di chi vuole dare, elargire. In questo caso invece accade una cosa nuova: sarà colui che verrà a donare e non una cosa tra le tante ma nientedimeno che lo Spirito Santo.

Allora noi ci prepariamo per ricevere, e questa stessa preparazione è stata avviata dallo stesso donatore. Giovanni Battista fu preparato dallo Spirito Santo. La sua esistenza ascetica, tutta protesa verso l’incontro con il Messia, fu la sua risposta a una forza che lo attraeva come aveva attratto in passato tanti altri profeti da Samuele in poi. Ecco allora che quest’intima attesa di Gesù che a Natale tornerà a donarsi a noi in modo nuovo, è già opera della grazia, che ci spinge in questa direzione. Sappiamo che verrà, crediamo che verrà, viene sempre, ma ogni volta in modo nuovo, vitale, a seconda della fase che stiamo vivendo.


Colpisce un altro aspetto: la povertà di Giovanni Battista, la sua assoluta sobrietà. Quasi a dirci che per aspettare e accogliere una nuova rivelazione di Dio bisogna che ci spogliamo di tante cose e restiamo fissi sull’essenziale. Se vogliamo Gesù, Gesù verrà. Questo vuol dire lasciar perdere tanti momenti di evasione e distrazione per imparare il raccoglimento, per stare nel silenzio, che è il luogo dell’incontro. Il silenzio è il linguaggio dell’amore e quindi Dio non può che rivelarsi nel silenzio. Maria come il Battista ha scelto la via dell’essenzialità. Gesù solo ha riempito i suoi occhi e la sua esistenza. Nessun’altra attrattiva l’ha afferrata. Anche adesso come madre nostra continua a fare altrettanto, ci aiuta a tenere lo sguardo fisso su di lui, ad ascoltare la sua Parola, attendere la Parola e la densità delle promesse che porta con sé. Maria non ha altro da trasmetterci che questo intenso desiderio di stare con la Parola: leggerla, lasciarsi leggere, lasciarsi raggiungere e permetterle di trasformare il nostro cuore e la nostra vita. 

Il Battista aveva scelto la via dell’umiltà e perciò in lui poté risuonare la voce di Dio. Povero di sé e ricco di amore, di verità. Maria, anche lei piccola, povera di sé, portò in grembo l’eterno. Per essere riempiti occorre farsi capaci, fare spazio, per farsi visitare occorre preparare il cuore all’incontro. Giovanni Battista e Maria di Nazaret ci mostrano il capovolgimento tipico della fede: ciò che è vuoto, è riempito fino all’orlo e più, ciò che è piccolo viene innalzato fino ai cieli, ciò che appare sterile, fiorirà tra breve. Un invito denso di consolazione per noi, per lasciare e trovare. Trovare cosa? Spazio, tempo, cuore per il silenzio, apparente fallimento di tutte le cose. Però per chi avrà pazientato, per chi avrà esercitato la tenacia interiore restando fedele alla preghiera e all'ascolto, spunterà un germoglio e sarà il miracolo tanto atteso, la grazia lungamente chiesta e per la quale non ci si è stancati di implorare. Dio fa crescere i suoi fiori più belli in mezzo alle rocce più aride. Chi ha orecchie, intenda.

La Via della felicità