«Prendete, questo è il mio corpo». In
questa domenica siamo riportati nella cornice dell’Ultima Cena, al cuore della
nostra fede, il momento cruciale in cui si svolge la prima celebrazione
eucaristica della storia, con Gesù come sacerdote eterno. Sono poste le basi
della liberazione universale dell’uomo da ogni forma di schiavitù. Gesù aveva
chiesto agli apostoli di andare in città e seguire un uomo che sarebbe venuto
loro incontro con una brocca d’acqua. Entrati nella sua casa, avrebbero dovuto
chiedere al padrone dove fosse la stanza in cui il Maestro avrebbe potuto
celebrare la Pasqua. Un dettaglio non secondario. Quell’umile servizio di
attingere acqua alla piscina di Siloe, l’unica sorgente locale - cui si accedeva
mediante una scala, ancora visibile - spettava alle donne. Il fatto che fosse
un uomo, sembra essere un segno con cui Gesù inizia la sua rivoluzione, il suo
rovesciamento di ruoli.
La logica nuova che è venuto a portare
è quella dell’umiltà e dell’amore che rendono grandi, contro la logica del potere,
del possesso e del piacere. Regnare è servire nell’ottica di Gesù, e infatti
nei Vangeli afferma chiaramente – senza alcun dubbio – che chi vuole realizzarsi
e sentirsi grande è chiamato a servire, a spezzarsi per il bene degli altri, a
lavorare dal basso, mettendo amore in quello che fa, fede e speranza. Il Pane
che Gesù offre e che invita a “prendere” è la sua vita divina che chiede il
nostro sì per operare in tutta la sua forza. Non dobbiamo cosificare l’eucaristia,
farne qualcosa che mangiamo e poi cerchiamo di capire, siamo chiamati invece a
lasciarci afferrare dal mistero di questa dinamica nuova d’amore che vuole
agire dal di dentro, dalla radice del nostro essere per trasformarci gradualmente
– ma costantemente – fino alla statura di Cristo. Papa Francesco ci ha
ricordato che «quando celebriamo l’Eucaristia è Gesù vivo, che ci raduna, ci fa
comunità, ci fa adorare il Padre» e che «nutrirci
di quel “Pane di vita” significa entrare in sintonia con il cuore di Cristo,
assimilare le sue scelte, i suoi pensieri, i suoi comportamenti, significa
entrare in un dinamismo di amore e diventare persone di pace, persone di
perdono, di riconciliazione, di condivisione solidale. Le stesse cose che Gesù
ha fatto».
Il nostro affidamento a Maria rientra
in questa dinamica di trasformazione profonda: la sua azione materna consiste
nell’accompagnarci – con forza e dolcezza – in un cammino aperto, che ci fa
crescere, migliorare, un cammino che ci umanizza. E ciò che Maria desidera per
noi è che questa umanità nuova che viviamo diventi lievito per gli altri: ogni nostro
progresso umano e spirituale non è solo per noi, ma è un bene per chi ci è
accanto. Massimiliano Kolbe ha capito molto bene questo desiderio della Madre,
ha capito che nella vita di fede c’è un momento decisivo in cui scegliere se
continuare a fare un passo avanti e uno indietro oppure lanciarsi con fiducia
totale nelle braccia e nel cuore di Dio. Padre Kolbe – che pure ha avuto i suoi
momenti faticosi – non è rimasto a terra ma rinunciando a ripiegarsi in una compiaciuto
rassegnazione ha avuto il gran coraggio di giocare tutto, ma proprio tutto, confidando
nella forza dell’Amore. Ci affidiamo a Maria per imparare ad amare e l’amore
vero è nato dal gesto essenziale e rivoluzionario con cui Gesù ha spezzato se
stesso, per darci vita e vita in abbondanza.
Dal Vangelo secondo Marco (14,12-16.22-26)
Il primo giorno degli Azzimi,
quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: "Dove vuoi che
andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?". Allora mandò
due dei suoi discepoli, dicendo loro: "Andate in città e vi verrà incontro
un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al
padrone di casa: "Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, in cui io possa
mangiare la Pasqua con i miei discepoli?". Egli vi mostrerà al piano
superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per
noi". I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva
detto loro e prepararono la Pasqua. E, mentre mangiavano,
prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo:
"Prendete, questo è il mio corpo". Poi prese un calice e rese
grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: "Questo è il
mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico
che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò
nuovo, nel regno di Dio". Dopo aver cantato l'inno,
uscirono verso il monte degli Ulivi.
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