sabato 10 marzo 2018

La luce c’è


«La luce è venuta» afferma la Parola di questa IV domenica di Quaresima (cf. Gv 3,14-21). Dentro alla cornice del dialogo notturno tra Gesù e Nicodemo, fariseo e membro del Sinedrio, si presenta alla nostra attenzione interiore questa dinamica di rivelazione divina e di risposta umana. Gesù illumina il cuore di Nicodemo facendogli capire e sentire che tutto ciò che è desiderabile – felicità, significato, eternità – dipende da un’unica condizione: credere, avere fede. Il verbo “credere” ritorna cinque volte in questo Vangelo, ed è da esso che dipende la salvezza. Il criterio di giudizio sul mondo e sull’uomo sta in questo affidarsi e aprirsi del cuore umano davanti alla Parola che Gesù, nel buio della nostra autosufficienza, ci rivolge. Nessuno ci giudica. Siamo noi a scegliere se farci perlomeno incuriosire dai raggi di luce che si intravedono all’orizzonte oppure a restare chiusi e ostinati, nonostante nel buio si veda poco e si viva male, atrofizzati e statici.

Ecco allora che l’esempio di Maria, la discepola fedele di Gesù, ci spinge a interrogarci sul nostro personale rapporto con la Parola. Ci invita a un ascolto attivo, che diventa assimilazione, riconoscimento di una voce paterna che chiama e cerca l’incontro personale, e può svilupparsi perciò in risposta, in dialogo, in docilità. Solo così il cuore e la vita si trasformano, quando la Parola può agire e lasciare il segno nella nostra carne, dando forma ai nostri sentimenti e quindi pensieri e scelte. Nicodemo siamo noi quando ogni giorno, aprendo gli occhi - se siamo onesti - sentiamo che l’unica cosa veramente urgente da fare prima ancora delle altre è cercare il volto gioioso di Gesù, il suo sorriso, la sua Parola che scalda il cuore ed è capace di darci l’energia necessaria per intraprendere la giornata e viverla con i suoi occhi e col suo cuore missionario.

Credere, affidarsi a Lui, è quanto l’affidamento a Maria ci aiuta a fare, perché non sono soltanto il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo a fare a gara a rincorrersi nel dono e nell’amore, e a viversi perciò in comunione profonda, ma lo è anche Maria, che partecipa a titolo tutto speciale a questo amore divino. Il suo unico desiderio, ci ricorda il nostro caro san Massimiliano Kolbe, è quello di innalzare il livello della nostra vita interiore, che tradotto in parole facili significa aiutarci a riconoscere l’azione dello Spirito in noi e corrispondere nella libertà. Il Vangelo di questa domenica punta sul fascino della luce, una luce che c’è, che ci lavora dal di dentro e che anima il cuore del nostro cuore, chiamandoci all’autenticità. Il silenzio di Nicodemo che, dopo tante domande, resta assorto, ci aiuti a riconoscere questo Spirito che ci abita e ad affidarci a Lui con la semplicità dei bimbi.

sabato 3 marzo 2018

Ricostruire l’umano


«Distruggete e io farò risorgere» (cf. Gv 2,13-25). Un Gesù, in questa terza domenica di Quaresima, spiazzante e intenso. Un gesto profetico sullo sfondo della Pasqua ormai vicina con cui l’evangelista Giovanni avvia la vita pubblica di Gesù. Gli altri evangelisti porranno questa stessa scena alla fine dei loro scritti, quando Gesù sale a Gerusalemme per vivere la sua passione e morte. Dunque in Giovanni questo gesto con cui Gesù manda all’aria – letteralmente! – una struttura religiosa parziale e ormai sterile ha tutta la forza dirompente di un annuncio di novità pasquale! Il segno che Gesù fa per dimostrare ai giudei che può purificare il loro modo di intendere la religiosità è l’annuncio della sua risurrezione.

Provate a distruggere questo tempio – cioè il mio corpo santo – e io lo farò risorgere. Ossia da questo momento in poi non fa più problema il peccato dell’uomo e la sua tendenza a distruggere, rovinare e deformare, perché in Gesù, con la forza del suo amore, del suo Spirito, avremo la capacità di ricostruire, di risollevarci, di ricominciare. Nessuna vita è perduta, e anzi il grande annuncio di gioia è che dentro le inevitabili fratture che ci portiamo dentro – e che per alcuni sono abissi di dolore - esiste un rimedio: è il balsamo di misericordia che la mano tenera e forte del Signore versa su di esse. Gesù allontana dal tempio un certo modo di intendere la relazione con il Padre: come un baratto, come un “io ti do e così tu mi dai” che è ridurre la preghiera a un commercio. Svuotarla del suo significato e della sua potenza, che vengono dalla fiducia filiale con cui viene vissuta. La vera preghiera per Gesù è vivere in comunione col Padre, è essere una sola cosa nell’amore, nell’ascolto, nella più piena fiducia. È esultare al pensiero che non siamo mai soli, perché un abbraccio profondo ci custodisce. Gli apostoli osservano e tacciono, e un giorno ricorderanno queste parole e comprenderanno  e così potranno trasmettere il vero senso del gesto fatto da Gesù quel giorno.

Spontaneamente il pensiero va a Maria, e alla sua maternità divina. Maria è stata il tempio dello Spirito, in lei inizia questa novità che Gesù nel tempio esprime. La novità di una fede viva, autentica, che si realizza non nel fare o nel pensare ma nella vita. È un riconoscere lo Spirito che ci abita e vivere da figli, intenti a mantenere sempre il colloquio col Padre e a sentirsi responsabili per gli altri, come Gesù, che non ha pensato a se stesso – lui si sentiva amato! e gli bastava – ma ha lavorato instancabilmente perché  l’umanità credesse e si affidasse a un Padre il cui unico desiderio è quello di ricostruire col suo amore paziente quanto è stato distrutto in noi e attraverso di noi. Un’opera prodigiosa, che solo Dio può fare e che fa. A noi viverlo.


La Via della felicità