sabato 26 ottobre 2019

Fragili e felici


Abbi pietà di me! Nel vangelo di questa domenica, Gesù ci viene incontro con un’altra parabola, che è un genere di racconto che utilizza per chiarire, attraverso semplici esempi di vita, alcuni concetti che altrimenti sarebbero difficili da capire ed è anche un modo “aperto” di comunicare, lasciando a chi ascolta la libertà di accogliere o meno il messaggio. Gesù racconta questa storia per alcuni che avevano la presunzione di sentirsi a posto, i migliori, e disprezzavano gli altri. Ci sono due uomini, uno – il fariseo – in apparenza giusto, con le carte in regole per essere considerato un uomo onesto e di sani principi religiosi; l’altro – il pubblicano – che invece è considerato un poco di buono, un irregolare. Entrambi vengono colti in azione mentre vanno a pregare nel tempio. Il primo  fa una preghiera un po’ strana: ringrazia Dio perché è giusto, e perché non è come gli altri da lui definiti “ladri, ingiusti, adùlteri”. Il secondo invece non osava neppure alzare gli occhi e continuava  a battersi il petto ripetendo: “Dio, abbi pietà di me peccatore!”. Cosa accade dunque ai due? Il primo non è ascoltato da Dio, il secondo invece sì, è ascoltato e perdonato. Cos’ha da dirci tutto questo? 

Nella vita, in base alle esperienze che si fanno, si possono sviluppare alcuni atteggiamenti di fondo. Se una persona ha tanto sofferto, ha due possibilità: o inacidirsi e indurirsi fino a diventare cieca e a nutrire verso la vita odio e diffidenza, oppure umanizzarsi, diventando capace di compassione e di accoglienza. Disprezzare l’altro è una svalutazione che nasce da una ferita non curata: questa piaga fa paura e non si vuole entrarvi per vedere cosa c’è e come poterla guarire, e quindi per non essere toccati sul punto debole si ferisce in anticipo, e così ci si difende, evitando qualunque intrusione nel proprio dolore. Quando invece dal dolore impariamo a lasciarci trasformare il cuore come il chicco di grano che caduto in terra muore e morendo porta molto frutto, allora tutto cambia. E si percepisce un modo diverso di vedere, di sentire, e di conseguenza di comportarsi. Ci si occupa della propria interiorità e non si dà più la colpa agli altri. Non perché magari non si è davvero subito un torto, ma perché ormai si è capito che solo attraverso l’accoglienza incondizionata della nostra debolezza possiamo accedere alla verità di noi e degli altri. Siamo tutti fragili e impotenti! Tutti tutti? Sì! E soltanto nel momento in cui accogliamo l’amore di Dio, sperimentiamo che è stata propria l’umile richiesta di aiuto a salvarci, è stato proprio il vederci tanto deboli e bisognosi a farci tendere le mani verso il cielo. 

Il primo uomo, il fariseo, in fondo non sta pregando, perché non ascolta né parla con Dio, si sta solo parlando addosso! È chiuso in se stesso nell’illusione di potersi salvare da solo. Il secondo, il pubblicano, lui sta pregando: avverte il bisogno e si affida al Padre. Dio non ci ha mai chiesto di essere perfetti, questa è stata una deformazione tutta creata dagli uomini, Dio ci chiede solo di riconoscerci figli e come tutti i figli, di accogliere con gratitudine la dipendenza dai propri genitori. È proprio vero che quello che non si riconosce non può essere guarito! E se non è guarito, diventa ferita infetta che avvelena l’anima e lo sguardo e riduce delle persone destinate a una vita felice a dei miserabili, che vivono di disprezzo, di critiche, di pettegolezzi. E non sono capaci di gettare uno sguardo limpido su nessuna cosa creata! 

Chi si umilia sarà esaltato, afferma Gesù al termine del vangelo. Chi riconosce il proprio nulla, potrà accogliete il tutto di Dio. “Nulla è impossibile a Dio” è stata la frase che l’arcangelo Gabriele ha rivolto a Maria perché nella sua umiltà si è sentita tanto piccola e bisognosa, e così la grazia ha trovato il terreno adatto in cui entrare e far crescere il suoi germogli. “Abbi pietà di me Signore, abbi pietà di noi Gesù”, è questa la preghiera del cuore che possiamo fare nostra come tanta tradizione cristiana nei secoli, e così scoprire che tutti i mali ci vengono nel momento in cui neghiamo la nostra creaturalità, neghiamo le nostre parti difettose, e per non dover soffrire il cambiamento, disprezziamo noi stessi, non ci vogliamo bene, e passiamo a disprezzare anche gli altri. Ogni forma di disprezzo altrui parte da un disprezzo anzitutto verso se stessi, verso quelle parti di noi che, non accolte, riteniamo falsamente indegne di noi. Mentre hanno solo bisogno di essere orientate al Signore. Hanno solo bisogno di un cuore semplice come quello di Maria, che abbia il coraggio di aprirsi interamente e di lasciarsi trasformare dall’amore, per poter cantare le grandi opere che Dio è capace di fare in ciascuno.
27 ottobre 2019
Lc 18,9-14
XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo». 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». 14Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».


sabato 19 ottobre 2019

Sempre con te


Pregare sempre e non stancarsi mai. La perla preziosa di questo vangelo della domenica è la realtà della preghiera. Come si fa a pregare sempre? Cosa significa pregare? Facciamo il primo passo e cerchiamo di capire qual è la parabola che Gesù racconta e dove vuole arrivare comunicandocela. In una città viveva un giudice dalla linea dura, che applicava senza troppa pietà la legge e aveva poca attenzione alle persone. C’era anche una vedova, dunque una donna che all’epoca era povera e senza tutele sociali. Questa donna aveva preso ad andare dal giudice e a chiedergli che gli facesse giustizia contro il suo avversario, qualcuno che la stava opprimendo, causandole serie difficoltà. Altrimenti non sarebbe corsa dal giudice. Qual è la reazione del magistrato? I primi tempi la mandò via senza darle ascolto, poi a un certo punto, stanco di vedersi sempre tormentare dalle sue richieste, le concesse quanto chiedeva. 
Gesù a questo punto dice: il giudice alla fine le ha fatto giustizia, perché ha insistito, e Dio, che è vostro Padre, non farà forse giustizia ai suoi figli che lo pregano e attendono il suo aiuto? Vi dico che li aiuterà. Ma quando io vi verrò incontro – e sempre vengo ogni giorno - , troverò la fede in voi? Vi troverò in ascolto, alla ricerca del mio volto, della mia parola, della mia presenza? Quello che colpisce di questa vedova sono due cose: il fatto che le manchi qualcosa e il fatto che insistendo la ottiene. Questo qualcosa è Dio, il suo amore, verso il quale noi sempre tendiamo perché desideriamo l’unione piena, e l’insistenza che ottiene è la preghiera fatta con fede. Se la donna ottiene è perché ha fiducia nel fatto che il giudice le darà retta. Il tema della fede è perciò centrale, essenziale, è questa fiducia nel Signore che ci fa pregare, che non è tanto o solo vivere alcuni momenti specifici, quanto essere in uno stato di preghiera, essere cioè consapevoli che siamo in contatto con lui, mentre viviamo, mentre svolgiamo tutte le faccende ordinarie che la vita ci richiede, al lavoro, in casa, nelle relazioni con gli altri, con i familiari. Quello che ci dà vita e ci dà una carica interiore inesauribile è il saperci dentro questa appartenenza totale a Dio che è Padre e ci ama. Un Dio col quale possiamo dialogare sempre, chiedendogli spiegazioni quando non capiamo e aiuto quando non riusciamo, tessendo in questo modo una relazione fatta di amicizia, affidamento, confidenza. Allora il vangelo che ascoltiamo diventa vivo in noi, prende vita, ci dà vita, ne sentiamo la forza, ci sentiamo ascoltati e compresi dal Signore. E impariamo a camminare con lui, a intrecciarci con lui, a sentirlo vicino. In una dinamica costante che è un cercarlo e un farsi trovare. Cercarlo come la vedova che bussava alla porta del giudice e farsi trovare come la vedova che finalmente ottiene giustizia. 
Non possiamo non pensare a Maria, a quando a Cana ci ha mostrato una audacia nel chiedere che si pone a un livello diverso rispetto a questo della vedova. Lì, davanti a un’altra mancanza, Maria si volge a Gesù con una fede talmente piena e priva di alcun dubbio da poter dire ai servi “qualunque cosa vi dica, fatela”, ossia siate certi che una volta affidato a Gesù, questo vuoto sarà colmato. La fede va all’essenza, non cerca di scoprire i modi  e i tempi che Dio userà per esaudirci. Maria ci insegna perciò l’essenza della preghiera: l’intima certezza che ciò che è affidato, è salvato. L’affidamento a Maria che noi viviamo nelle pieghe del quotidiano ci fa intravedere ogni parola del Signore attraverso il cuore e l’esperienza della Madre, ci fa guardare i fatti che accadono come altrettante occasioni in cui con lei andare alla ricerca del volto di Gesù e del suo volere per noi.
20 ottobre 2019
Lc 18,1-8
XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

In quel tempo, 1 Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: «Fammi giustizia contro il mio avversario». 4Per un po' di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: «Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi»». 6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».


sabato 12 ottobre 2019

Fede è accorgersi di Lui


Alzati e va’, la tua fede ti ha salvato! È la frase finale di questo vangelo domenicale. E ne sentiamo tutta la forza di ripresa dalle tante nostre situazioni di abbattimento e di scoraggiamento. Ma come siamo arrivati a questa espressione di Gesù? Cos’è accaduto prima? A chi si sta rivolgendo il Signore? Fermiamoci un momento e lasciamo il corso dei pensieri che costantemente scorrono da una parte all’altra della nostra mente, facendoci talvolta fare dei viaggi un po’ tortuosi. E lasciamo che la nostra attenzione sia attirata da questa presenza forte e rassicurante di Gesù che ci viene incontro. 

Gesù si sta dirigendo con i suoi amici a Gerusalemme. Per Luca che narra, questo significa che Gesù sta andando verso la prova definitiva che lo condurrà alla croce. Strada facendo attraversa territori della Samaria e della Galilea. Ed è nel momento in cui entra in un paesino che gli vengono incontro dieci uomini. Sono lebbrosi, e si fermano a una certa distanza gridando: “Gesù maestro, abbi pietà di noi!”. Appena li vede Gesù li invita ad andare a presentarsi ai sacerdoti. A loro spettava infatti constatare la guarigione, fare delle preghiere e riammettere nella comunità chi ne era stato allontanato perché ammalato e infetto. I dieci senza dire alcuna parola si mettono subito in viaggio. E mentre camminano si rendono conto di essere stati guariti. Il loro corpo è liscio, senza ferite né piaghe. Uno di loro, non stando nei suoi panni per la gioia, torna indietro e si getta ai piedi di Gesù per ringraziarlo. 

È a lui che Gesù dice queste parole “Alzati e va’, la tua fede ti ha salvato!”. Prima però si chiede dove siano gli altri, che sono stati guariti insieme con lui. Hanno ricevuto un dono immenso, gratuito e immeritato e non sanno neppure dire grazie: danno tutto per scontato! Il lebbroso guarito che ritorna a ringraziare invece viene lodato perché ha avuto fede, ha saputo vedere oltre. Non ci basta essere sotto l’azione della grazia per sentirci figli amati, c’è un passo da fare, quello dell’affidamento, che è una scelta del cuore, intima e personale. È un sentire dentro l’anima che prima eravamo in un modo, ora siamo diversi, perché abbiamo incontrato il Signore. Prima eravamo a pezzi, ora siamo integri. Qualcuno ha lenito le ferite e asciugato le lacrime, Qualcuno ha accarezzato il nostro volto e ci ha presi in braccio, come bambini. E allora la vita diventa un continuo ringraziamento, perché eravamo piagati nell’intimo, feriti nei sentimenti, nelle speranze, umiliati da tante ingiustizie subìte e dalle conseguenze di errori compiuti. Il cristiano nasce nel momento in cui, in mezzo alle lacrime che offuscano la sua vista, intravede il volto del Salvatore, mite e tenero, che lo salva. Facendogli sperimentare la cosa più semplice e desiderata eppure tanto lontana dalle nostre capacità umane: l’amore vero. Il lebbroso non poteva credere tanta era la gioia di vedersi guarito! Saltava interiormente come il Battista quando incontro Gesù bambino. È quella euforia incredibile che prende quando abbiamo pianto tanto e alla fine il Signore è venuto! Ci ha salvato! È l’esultanza di Maria quando ha compreso che era diventata la madre del Salvatore, e ha intuito che la storia sarebbe cambiata, al posto della tristezza e delle tenebre, la gioia e la luce. 

Questa è l’esperienza di trasformazione che un vero itinerario di affidamento a Maria fa compiere! Non si tratta di fermarsi ai bei pensieri, alla buone intenzioni, ma di accogliere la potenza spirituale di questo gesto di donazione a lei. San Massimiliano kolbe ce lo conferma: “Trasforma te stesso. Ascolta la voce di Dio nel raccoglimento, in modo particolare durante la meditazione. Dio vuol darti di più di quel che tu vuoi prendere. Vinci te stesso. L'amor proprio è la sorgente di tutti i peccati. L'amore non tiene conto delle forze, crede nell'impossibile”.

13 ottobre 2019
Lc 17,11-19
XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
In quel tempo, 11lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!».


sabato 5 ottobre 2019

Aumenta la mia fiducia


Accresci la nostra fede! Con queste parole centrali inizia il vangelo di questa domenica. La Parola di Gesù ci viene incontro non per essere solo letta e compresa ma soprattutto perché la sua forza spirituale ci cambi dentro, perché la Parola è il movimento stesso della nostra vita. Siamo noi che entriamo sempre più nel dinamismo di trasformazione  con cui possiamo aprire il cuore a  nuovi modi di essere e di pensare. Non quelli che ci hanno attaccato addosso le abitudini e le mentalità che ci circondano, ma quelli che scegliamo noi, in base a ciò che crediamo. La fede è un dono da chiedere e può crescere perché nasce dalla relazione con una persona che è Dio. 
Gesù davanti a questa richiesta ("accresci la nostra fede!") risponde dicendoci che tutto è possibile per chi crede: anche spostare un albero al solo volerlo! Dire al gelso: sradicati e vatti a piantare nel mare… ed esso lo fa! Un esempio con cui vuole farci capire che non ci sono limiti alla fiducia, anzi come il seme di senape piccolino la fede in noi può crescere fino a diventare un albero pieno di foglie e di frutti. In questo senso l’affidamento a Maria, ponendosi come un itinerario di fede, rappresenta un grande aiuto per crescere nella fiducia. La fede non è un qualcosa di statico che ricevi e metti da parte per prenderlo quando ti serve, la fede è un processo fatto di tutto ciò che noi siamo e amiamo e di tutto ciò che Dio è. Nasce e cresce dall’intreccio delle nostre vite. 
E Maria, che Gesù lo ha portato nel grembo e poi da adulto lo ha seguito e ascoltato, ci mostrerà la via della vera fede, che dà pace e forza interiore anche mentre si vivono periodi dolorosi e momenti difficili. Se siamo sinceri sappiamo che solo il sentirci appartenenti a Dio e al suo amore può salvarci e offrirci l’energia necessaria per vivere. Senza questa sua presenza la vita non ha senso né può essere vissuta serenamente. E saperci sorretti dal suo Spirito ci dà anche la capacità di essere creativi! Poter vivere un avita nuova, segnata dalla novità delle sue ispirazioni è una meravigliosa realtà. Interessante quello che dice Gesù dice agli apostoli: «Quando avete fatto ciò che vi è stato chiesto, dite: “siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”». 
“Inutili” non significa per Gesù che non serviamo, ma che siamo senza utile, ossia non c’è qualcosa da guadagnare, da pretendere dalla vita perché se siamo figli amati e come tali viviamo, noi abbiamo già tutto, tutto l’essenziale sul quale costruire poi il resto. Abbiamo la forza di Dio in noi! Di una sola cosa abbiamo bisogno per vivere dunque: la fiducia nel Signore. Essere come bambini nelle sue mani. E trasmettere questo amore a chi ci sta intorno. Perché come ripeteva Massimiliano Kolbe, “solo l’amore crea”, solo l’amore è capace di creare ambienti e famiglie in cui la vita genera altra vita nella speranza e nella gioia.  

6 ottobre 2019
Lc 17,5-10
XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: «Sràdicati e vai a piantarti nel mare», ed esso vi obbedirebbe.7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: «Vieni subito e mettiti a tavola»? 8Non gli dirà piuttosto: «Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu»? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare»».

La Via della felicità