sabato 19 maggio 2018

Guidati dallo Spirito


«Quando verrà Lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità». Dopo la grande Pasqua di 50 giorni, ecco la gioia della Pentecoste (cf Gv 15,26ss). Il Vangelo ci immette nel discorso di Gesù durante  l’ultima Cena, quando ci fa la promessa del dono di Dio, cioè l’invio dello Spirito Santo. Che non è una colomba, né qualcosa di vago, ma la sua vita divina che entra in noi attraverso il dinamismo dell’amore che risana, guarisce e rafforza per testimoniarlo nella vita. È il mistero, grande  e realissimo, della terza Persona della Trinità, lo Spirito Santo Amore. Gesù lo chiama anche il Paràclito, termine per noi abbastanza misterioso, che però, traducendolo dal greco, significa “colui che è chiamato accanto”, che viene in aiuto, il soccorritore, potremmo dire. Lo Spirito si fa vicino, ci riscalda il cuore, ci fa sentire amati, figli suoi, e così ci apre all’ascolto della Parola, soccorrendoci, cioè staccandoci dalle altre voci contrarie che vorrebbero distoglierci dal bene. Ci ricorda tutto quello che Gesù ci ha detto e ci conduce alla verità tutta intera. Questa verità non è una dottrina da imparare, non si stratta di contenuti di ragione da capire, è invece il suo amore e dunque noi come figli siamo inseriti in un dinamismo di donazione che ci porta fuori di noi, ci sposta da noi stessi per accogliere la nostra vera identità, che il Padre Celeste ci rivela. 

È più semplice di quel che sembra: quando pensiamo di sapere come stanno le cose, la Parola ci rimanda ad altre visioni, ci apre, ci conduce fuori, verso altre prospettive, che sono quelle vere, di Dio. Quando ci sentiamo in un certo modo, non fidiamoci di noi, fidiamoci piuttosto dello Spirito Santo che ci trasferisce nella vita di Dio e nel suo modo di sentire, di pensare, di vivere. Nelle icone della Pentecoste spesso c’è Maria al centro del gruppo dei discepoli che aspetta il dono dello Spirito e lo riceve abbondantemente. Colpisce il gesto delle sue mani: sono mani aperte, e che mostrano i palmi distesi all’osservatore. È il gesto della piena docilità a Dio (era il gesto del servo, dello schiavo) con cui Maria si è lasciata condurre dallo Spirito Creatore diventando lei stessa creativa, di quella creatività che solo l’amore di Dio può attivare nella nostra umanità spenta e fallibile. 

Il nostro affidamento a Maria rientra in questo dinamismo di vita spirituale: non è una pia devozione, non è una semplice buona intenzione, è accogliere con Maria la proposta concreta di cambiare il cuore e la mente, per aderire a una verità che noi non possediamo e che invece riceviamo dall’alto man mano che ci affidiamo, man mano che camminiamo nell’abbandono e nella pace. Maria ci introduce nella vita dello Spirito, lei che si è fatta perfettamente condurre da lui e ha ispirato al nostro patrono san Massimiliano Kolbe la spiritualità dell’abbandono totale nelle sue mani immacolate. Sentiamo rivolte  a noi queste parole oggi, mentre attendiamo il dono pieno dello Spirito Santo che ha qualcosa di nuovo e di più profondo da operare in noi e nella nostra storia: Abbandònati ogni giorno maggiormente nelle mani di Gesù e dell’Immacolata. Non affliggerti per le contrarietà e le difficoltà, ma lascia ogni cosa all’Immacolata. Lei può tutto: farà ciò che vorrà (SK 975, a. 1925).

Gv  15,26-27; 16,12-15


In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:«26Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; 27e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. 12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.»

domenica 13 maggio 2018

Andare con lui nel cuore


Dopo il “rimanete” nel mio amore, oggi “l’andate” dappertutto senza limiti e confini ad annunciare – dice Gesù -me, la mia Parola, il mio Amore. Ricolmi di me, portate me, aprite percorsi, preparate i cuori, favorite in ogni modo il mio arrivo. Nessuno di noi può trasformare un cuore e una vita, questa è opera di Dio. E però è volontà di Dio che noi collaboriamo col suo Spirito vivendo e testimoniando il vangelo. 

Gesù dice che ci saranno segni che accompagneranno le azioni di quelli che si affidano a lui, che credono in lui. Sono segni di guarigione e liberazione dal male. Non si tratta per noi battezzati di imporre le mani o di compere chissà quale altro gesto, ma di far passare lo Spirito attraverso la nostra fede, e la nostra preghiera e la nostra vita. Basta dare attenzione sincera a qualcuno che ha bisogno di ascolto per offrire uno spazio di salvezza. Basta un sorriso a chi è stretto dalla morsa del dolore per sentire che c’è anche altro, che non esiste solo il cono scuro della sofferenza. La creatività dell’amore non ha limiti, se non quelli che gli mettiamo noi. E poi abbiamo un’arma spirituale formidabile, la migliore del mondo, la creazione più stupefacente che Dio potesse fare: la preghiera. Se chiederete qualcosa nel mio nome, lo otterrete, aveva detto Gesù nell’ultimo discorso. È nel nome di Gesù, cioè nella fede in lui che la nostra preghiera può fare miracoli. La maggior parte delle situazioni difficili ci vedono impotenti e se dovessimo fermarci alle possibilità solo nostre, di iniziative concrete, saremmo perduti. 

Ma Gesù ci assicura che la preghiera fatta con perseveranza e confidenza e verità è capace di spostare un gelso dal suo terreno e trapiantarlo in mare. Ossia la preghiera rende possibile l’impossibile. È meravigliosa questa vita in comunione con Gesù in sinergia con lui in un continuo pensare, sentire, sognare e lavorare insieme, in cui nella concretezza delle situazioni Gesù ci conferma e ci aiuta a fare discernimento, a capire se stiamo andando nella giusta direzione o meno. In questa domenica dell’Ascensione, Gesù ci ricorda una immensa verità: la nostra grande dignità di figli a cui lui affida un compito bellissimo, quello di continuare quello che lui ha iniziato. Ci onora il Signore nel donarci tanta ricchezza, ci spinge a donare per ricevere il centuplo, ed è questa uscita continua da noi stessi per accogliere lui e per portare lui a caratterizzare il nostro affidamento a Maria nello spirito di Massimiliano Kolbe. 

Ci doniamo a Maria per uscire dai limiti di noi stessi e aprirci alle realtà nuove che il Signore desidera costruire anche con il nostro apporto, mentre incontriamo, testimoniamo, amiamo. E allora anche noi come gli apostoli non vogliamo fissare ammutoliti il cielo quasi come se Gesù se ne fosse andato, perché lui è rimasto fisso al centro del nostro cuore attraverso lo Spirito Santo. E Maria, madre e maestra, ci accompagna e ci aiuta a ripartire sempre nuovamente da questo centro, che è il segreto della felicità.


Dal Vangelo secondo Marco 16,15-20 
In quel tempo Gesù apparve agli Undici e disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura.
Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. 
E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, 
prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno». 
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio. 
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano. 

sabato 5 maggio 2018

Amar-Sì come Gesù


Rimani nel mio amore. Un Vangelo che scardina l’insicurezza umana – frutto dell’autosufficienza – e ci innesta in una relazione fondante che è alla base della nostra identità forte di figli di Dio (cf. Gv 15,9-17). Se qualcuno chiedesse a un cristiano “a che ti serve credere?”, la risposta più sensata sarebbe “a vivere”. Sì, a vivere. Ne facciamo esperienza in maniera eloquente all’interno delle realtà che frequentiamo: quando la persona si stacca dalla relazione di fiducia con Dio, si perde. Ecco perché i cammini di fede che in tante maniere vengono proposti servono a rimettere sulla strada del senso e della felicità. Recuperare ciò che si è smarrito o di cui non si è ancora coscienti. Gesù qui ci sta dicendo che se rimaniamo nel suo amore impariamo pian piano ad amare come lui ci ha amati. Parole grosse! Gesù ha dato la vita per noi, ha passato i suoi trent’anni e più sulla terra distribuendo carezze e versando l’olio della consolazione sulle piaghe purulente degli uomini e delle donne che la vita ha messo sul suo cammino. 

Attaccato, ingiuriato, messo in ridicolo e disprezzato, ha suggerito con calma e intelligenza pensieri nuovi, capaci di aprire una breccia nelle logiche e nel cuore degli accusatori, e di mostrargli che nelle relazioni, quando ci si sta da figli di Dio, ciò che conta è cercare il bene, proprio e dell’altro. Mentre gli accusatori si attaccavano a motivi futili e inessenziali, per fermare la sua opera di guarigione e liberazione, Gesù andava dritto perché aveva a cuore la felicità di chi gli stava di fronte. Quante volte facciamo esperienza di queste contraddizioni! Mentre cerchiamo l’essenziale e gioiamo per la gioia degli altri, alcuni lavorano per mettere i bastoni tra le ruote, per rilevare quello che non è stato fatto bene, eccetera eccetera. Dopo una bella celebrazione assai frequentata e gioiosa, mentre alcuni si dicevano contenti per il tanto bene seminato, ecco una voce che disse “sì però non era liturgico quel canto!”. Ovviamente non era così, il coro aveva cantato più che bene… però, però… ecco queste voci che si infiltrano, e sembra non abbiano altro interesse che quello di rilevare ciò che a loro avviso non è stato fatto bene. 

Gesù non è così, l’amore di cui ci ricolma l’anima e che ci fa sentire una sicurezza meravigliosa e indistruttibile è liberante e mette ali alla nostra vita. Maria è stata anche lei capace di farsi abbracciare dall’amore del Padre con tutta l’apertura del cuore, e ha vissuto una vita bella, è stata davvero felice. Affidarci a lei significa entrare nel dinamismo d’amore con cui il Padre ci attira a sé attraverso l’umanità di Cristo. Maria è una grande collaboratrice di Dio, è l’alleata del Padre, la Madre di Gesù, la docile figlia dello Spirito Santo Amore. Sì, affidarsi è l’unico modo intelligente per saper vivere e per vivere da figli di Dio. Non c’è da sforzarsi, l’amore ci precede, ci attrae e ci attende. A noi però accogliere l’amore, a noi accogliere Maria. Questione d’intelligenza, di sano realismo, di umiltà… ciascuno trovi la sua motivazione.

giovedì 3 maggio 2018

Accogliere Maria

"La Madre non è un optional, una cosa opzionale, è il testamento di Cristo. E noi abbiamo bisogno di lei come un viandante del ristoro, come un bimbo di essere portato in braccio. È un grande pericolo per la fede vivere senza Madre, senza protezione, lasciandoci trasportare dalla vita come le foglie dal vento. Il Signore lo sa e ci raccomanda di accogliere la Madre. Non è galateo spirituale, è un’esigenza di vita. Amarla non è poesia, è saper vivere. Perché senza Madre non possiamo essere figli. E noi, prima di tutto, siamo figli, figli amati, che hanno Dio per Padre e la Madonna per Madre.

Maria è «segno di certa speranza e di consolazione per il peregrinante popolo di Dio» (Cost. Lumen gentium, VIII, V). È segno, è il segno che Dio ha posto per noi. Se non lo seguiamo, andiamo fuori strada. Perché c’è una segnaletica della vita spirituale, che va osservata. Essa indica a noi, «ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni» (ivi,,62), la Madre, che è già giunta alla meta. Chi meglio di lei può accompagnarci nel cammino? Che cosa aspettiamo? Come il discepolo che sotto la croce accolse la Madre con sé, «fra le cose proprie», dice il Vangelo (Gv 19,27), anche noi, da questa casa materna, invitiamo Maria a casa nostra, nel cuore nostro, nella vita nostra. 

Non si può stare neutrali o distaccati dalla Madre, altrimenti perdiamo la nostra identità di figli e la nostra identità di popolo, e viviamo un cristianesimo fatto di idee, di programmi, senza affidamento, senza tenerezza, senza cuore. Ma senza cuore non c’è amore e la fede rischia di diventare una bella favola di altri tempi. La Madre, invece, custodisce e prepara i figli. Li ama e li protegge, perché amino e proteggano il mondo. Facciamo della Madre l’ospite della nostra quotidianità, la presenza costante a casa nostra, il nostro rifugio sicuro. Affidiamole ogni giornata. Invochiamola in ogni turbolenza. E non dimentichiamoci di tornare da lei per ringraziarla".

Papa Francesco

sabato 21 aprile 2018

L'amore rende belli


Io sono il bel pastore. Con questa calda immagine si apre il Vangelo di questa IV domenica del tempo di Pasqua (cf. Gv 10,11-18). Entrando dentro il significato profondo di questo paragone, scopriamo il vero volto di Dio che Gesù è venuto a mostrarci. Esistono due modi di vivere: per amore oppure per interesse. La persona mossa dall’amore si pensa e agisce come qualcuno che si realizza donandosi. La traduzione esatta di questo “dare la vita per le pecore” usata da Gesù è deporre la propria persona a servizio e a favore della persona amata. Infatti il mercenario conduce le pecore solo per avere il salario e non gli importa del loro destino, per cui se sopraggiungono dei pericoli a lui non interessa, lascia che le pecore si perdano e si allontanino da casa perché l’unica sua preoccupazione è salvare se stesso. Il bel pastore invece conosce le sue pecore una ad una e infatti ognuna lo riconosce e sa qual è il timbro della sua voce e perciò lo segue fiduciosa. 

Conoscere nel linguaggio della Bibbia significa amare intimamente: è la relazione sponsale che unisce uomo e donna e che Dio applica al suo rapporto col popolo e con ogni sua creatura. Dunque qui Gesù sta dicendoci che tra lui e noi c’è un rapporto di amore e un coinvolgimento totale. Come tra Padre e Figlio, così anche tra l’anima e il suo Sposo Gesù, il bel pastore, esiste un legame eterno d’amore. «Le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre». In poche battute tre volte Gesù utilizza il verbo conoscere, per declinare il suo amore e la sua passione per l’uomo. Nessuno gli toglie la vita, come lui spiega, ma è lui stesso a donarla. È proprio della natura divina che è Amore donarsi e comunicarsi, per cui Gesù sente che questa dinamica di offerta sgorga direttamente dal suo essere e non potrebbe che essere così.

La conoscenza amorosa tra noi e Gesù è ciò che costituisce l’orizzonte dell’affidamento a Maria. Se questa Madre ci è stata donata, se ne percepiamo la protezione e l’aiuto, è perché impariamo a coinvolgerci sempre più profondamente con lo Sposo della nostra anima. Desiderio di Maria, dice san Massimiliano Kolbe, è di innalzarci fino alla vetta della santità. E la santità, ce lo ricorda papa Francesco, coincide con felicità e consiste nel farsi attraversare dalla bellezza dell’amore divino per poi donarne agli altri i riflessi. La bellezza di cui parla Gesù non è a livello dell’apparenza, ma del cuore perché deriva dalla sua vita donata per amore. Benedetto XVI scriveva: «Proprio in questo Volto così sfigurato (di Gesù crocifisso) appare l’autentica, estrema bellezza: la bellezza dell’amore che arriva fino alla fine e che, appunto in questo, si rivela più forte della menzogna e della violenza». A questa bellezza Maria vuole condurci quando ci prende per mano e ci insegna ad accogliere la sconvolgente novità della logica di donazione di Dio. 

sabato 14 aprile 2018

Sono proprio io


Gesù in persona stette in mezzo a loro. Un segno – quello di Gesù in questo Vangelo della III domenica di Pasqua (Cf. Lc 24,35-48) – che è la dichiarazione d’amore di Dio all’umanità: “Io ci sono e mie sono tutte le cose, ci sono e non mi vedete con gli occhi fisici, perché sono Risorto, ma sì, mi vedete con gli occhi del cuore e potete sperimentarmi vivo e operante nell’abbandono fiducioso della vostra vita”. Nel racconto dei due discepoli di Emmaus, che arrivano a velocità galoppante dai Dodici e raccontano dell’esperienza vissuta col viandante divino, avvertiamo la potenza della testimonianza. Perché uno può dire di sé e della vita tante cose ma quando parla di Colui che ha veramente incontrato, allora questa energia di vita passa e tocca il cuore di chi ascolta, e nel toccarlo lo apre all’accoglienza della stessa esperienza. Quando la mia vita parla di Gesù allora Gesù stesso si fa presente mentre incontro, mentre mi relaziono, mentre faccio tutte quelle azioni quotidiane che portano il sigillo di un di più spirituale e che è l’invisibile amore che circola tra noi e il cielo. Dunque il luogo in cui cercare Gesù è la vita! Se comunichiamo Lui, mentre viviamo, Lui “appare” e apre prospettive, innesca cambiamenti, genera movimento, processi di trasformazione, facendo spesso sbocciare i fiori più belli dove non avresti mai pensato.

Gesù, vedendo la loro fatica a credere, chiede qualcosa da mangiare. Si abbassa al loro livello empirico e condivide le cose semplici come può essere un pasto. In questo modo si fa conoscere e dona anche una importante chiave di lettura della vita: noi siamo un tutt’uno – corpo e spirito - e un giorno, dopo l’anima, anche il corpo risorgerà. Conserveremo la nostra fisicità ma trasfigurata, così come Gesù l’ha conservata apparendo trasfigurato ma con i segni delle ferite nel suo corpo. Gesù, dopo averli rassicurati, apre loro la mente e gli fa capire che in Lui si è compiuta la Scrittura. C’è una parola che Dio pronuncia su ciascuno di noi che è una promessa di felicità che insieme a Lui costruiamo, nella pazienza, nell’umiltà e nell’amore. Bisogna lasciargli lo spazio perché possa condurci e farci realizzare imprese che non avremmo mai neppure immaginato. Imprese che non sono grandiose costruzioni di prestigio ma fitte reti di amore e di perdono con cui dare vita a cose nuove, mondi nuovi, nuovi modi di stare su questa terra.

A questa capacità di trasformazione ci conduce l’affidamento a Maria. Non ci affidiamo a lei per cullarci tra le sue braccia, sentirci sereni e al sicuro, anche se pure questo c’è; ci affidiamo per imparare a vivere, per nutrirci della Parola e del pane di vita e così uscire da noi stessi e fissare la fonte della nostra identità e percezione in Gesù, che ci sta davanti, che è vivo in mezzo a noi. Ci affidiamo per saper far venire fuori il meglio di noi e col meglio di noi cambiare le strutture di peccato del mondo. Ci affidiamo per seminare bene, speranza e amore, e così animare dal di dentro realtà che altrimenti resterebbero in mano ad altre forze. In famiglia, nel lavoro, nella ordinarietà portiamo questa forza che è il dono più grande che Gesù Risorto ci fa attraverso l’affidamento a sua Madre: la pace del cuore, ossia un cuore di combattente che scalza tutti gli ostacoli – fuori e dentro di lui – per attingere la sua identità e forza dalla sorgente interiore che è Dio in noi. E che va per il mondo con la sua inconfondibile serenità che non può essere in nessun modo prodotta. La pace di Gesù è un regalo spirituale che fa solo e unicamente a chi gli appartiene. “Conquista la pace” disse un saggio monaco “e gli altri troveranno la salvezza presso di te”.

sabato 7 aprile 2018

Toccati dal Risorto


Paura e fede, dentro e fuori, smarrimento e pace, esperienza personale del Risorto e fede della Chiesa. Un Vangelo, questo della seconda domenica del tempo di Pasqua (cf. Gv 20,19-31), dalle tinte forti e denso di rimandi importanti al cammino di fede del credente. La scena si apre con la contemplazione del gruppo degli apostoli – quelli che dovrebbero tenere alta la bandiera di Cristo – mentre sono attanagliati dalla paura e se ne stanno rintanati con le porte ben chiuse. Regna un’aria poco sana e abbastanza asfissiante, che forse ha originato la fuga di Tommaso. 

Sì perché Tommaso è sì l’apostolo Didimo coi suoi dubbi e le sue ricerche, però siamo anche noi con la nostra voglia di sperimentare Gesù in pienezza e ritrovarlo nella normalità della vita ordinaria, senza tutte quelle paure paralizzanti. È vero, quando i dieci gli comunicano la gioia grande di avere avuto la visita di Gesù risorto, Tommaso non crede. In fondo anche i dieci non avevano creduto a Maria di Magdala. È costitutivo della fede l’incontro personale col Risorto. Miliardi saranno i modi con cui Lui si farà incontrare quante sono le diversità degli uomini e delle donne che abitano questa terra, ma un elemento non potrà mai mancare perché ci sia fede: l’incontro con Gesù, l’esperienza della sua grazia, della sua misericordia che strappa dalle catene e dai condizionamenti e rende liberi davvero. La risposta di fede non può essere solo un bagaglio di nozioni per quanto vere, perché alla fine l’impalcatura non regge. Così come non può essere una acritica accoglienza di quello che ci hanno trasmesso, per quanto quello che ci hanno trasmesso sia vero. La risposta di fede ha bisogno di essere animata dal soffio di un’esperienza spirituale forte e trasformante col Risorto. Gesù infatti la sera di Pasqua soffia e dice agli apostoli: “Ricevete lo Spirito Santo”. Lo Spirito Santo è la realtà dell’amore divino riversato nei nostri cuori e di cui siamo consapevoli, per quello che opera in noi e attraverso di noi. Tommaso avrebbe dovuto credere ai dieci, perché l’annuncio fatto nello Spirito agisce sul cuore e se il cuore è aperto risponde col suo sì, come Maria. Tuttavia, nonostante la resistenza interna, Tommaso è il simbolo dell’anima che desidera ardentemente incontrare il Signore e che, pur con le sue contraddizioni e paure, è disposta a farsi attraversare da questo amore sconvolgente. Ed è questo desiderio che Dio premia! Gesù si fa vedere e toccare da Tommaso, accontenta il suo desiderio. Non ci ha mai chiesto di essere immacolati, il Signore, perché di Immacolata ce n’è una soltanto, nostra Madre Maria; quello che ci chiede è di cercarlo, desiderarlo, pregarlo, di rimanere in connessione profonda con Lui e perciò in relazione. 

Da questa relazione la nostra vita si trasforma e impariamo come Tommaso che anche dentro le relazioni fraterne autentiche si fa esperienza di Gesù. Maria nell’ascoltare l’annuncio del Figlio “al terzo giorno risorgerò” ha creduto e ha continuato a credere sotto la croce e nei giorni successivi alla Risurrezione, mentre si attendeva il dono dello Spirito Santo. Lei ci fa da guida nella risposta di fede, che è un coinvolgerci totale nell’amore di Dio senza metterlo mai in discussione, anzi puntellando ogni giorno con nuove scelte di fede, con determinazione, ben sapendo che se il cuore non si lascia attirare da false luci può rafforzarsi sempre più nella fede fino a vedere Dio in tutto. Fino a pronunciare di fronte a ogni situazione del reale: “Mio Signore e mio Dio!”.

La Via della felicità