Io
sono il bel pastore. Con questa calda immagine si apre il Vangelo di questa IV
domenica del tempo di Pasqua (cf. Gv 10,11-18). Entrando dentro il significato profondo
di questo paragone, scopriamo il vero volto di Dio che Gesù è venuto a
mostrarci. Esistono due modi di vivere: per amore oppure per interesse. La persona
mossa dall’amore si pensa e agisce come qualcuno che si realizza donandosi. La
traduzione esatta di questo “dare la vita per le pecore” usata da Gesù è deporre la propria persona a servizio e
a favore della persona amata. Infatti il mercenario conduce le pecore solo per
avere il salario e non gli importa del loro destino, per cui se sopraggiungono dei pericoli a lui non interessa, lascia che le pecore si perdano e si allontanino da casa
perché l’unica sua preoccupazione è salvare se stesso. Il bel pastore invece conosce
le sue pecore una ad una e infatti ognuna lo riconosce e sa qual è il timbro
della sua voce e perciò lo segue fiduciosa.
Conoscere nel linguaggio della Bibbia significa amare intimamente: è la
relazione sponsale che unisce uomo e donna e che Dio applica al suo rapporto
col popolo e con ogni sua creatura. Dunque qui Gesù sta dicendoci che tra lui e
noi c’è un rapporto di amore e un coinvolgimento totale. Come tra Padre e
Figlio, così anche tra l’anima e il suo Sposo Gesù, il bel pastore, esiste un
legame eterno d’amore. «Le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce
me e io conosco il Padre». In poche battute tre volte Gesù utilizza il verbo
conoscere, per declinare il suo amore e la sua passione per l’uomo. Nessuno gli
toglie la vita, come lui spiega, ma è lui stesso a donarla. È proprio della
natura divina che è Amore donarsi e comunicarsi, per cui Gesù sente che questa
dinamica di offerta sgorga direttamente dal suo essere e non potrebbe che
essere così.
La
conoscenza amorosa tra noi e Gesù è ciò che costituisce l’orizzonte dell’affidamento
a Maria. Se questa Madre ci è stata donata, se ne percepiamo la protezione e l’aiuto,
è perché impariamo a coinvolgerci sempre più profondamente con lo Sposo della
nostra anima. Desiderio di Maria, dice san Massimiliano Kolbe, è di innalzarci
fino alla vetta della santità. E la santità, ce lo ricorda papa Francesco, coincide con felicità e consiste
nel farsi attraversare dalla bellezza dell’amore divino per poi donarne agli
altri i riflessi. La bellezza di cui parla Gesù non è a livello dell’apparenza,
ma del cuore perché deriva dalla sua vita donata per amore. Benedetto XVI scriveva:
«Proprio in questo Volto così sfigurato (di Gesù crocifisso) appare l’autentica,
estrema bellezza: la bellezza dell’amore che arriva fino alla fine e che,
appunto in questo, si rivela più forte della menzogna e della violenza». A
questa bellezza Maria vuole condurci quando ci prende per mano e ci insegna ad
accogliere la sconvolgente novità della logica di donazione di Dio.
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