Abbi pietà di me! Nel vangelo di
questa domenica, Gesù ci viene incontro con un’altra parabola, che è un genere
di racconto che utilizza per chiarire, attraverso semplici esempi di vita,
alcuni concetti che altrimenti sarebbero difficili da capire ed è anche un modo
“aperto” di comunicare, lasciando a chi ascolta la libertà di accogliere o meno
il messaggio. Gesù racconta questa storia per alcuni che avevano la
presunzione di sentirsi a posto, i migliori, e disprezzavano gli altri. Ci
sono due uomini, uno – il fariseo – in apparenza giusto, con le carte in regole
per essere considerato un uomo onesto e di sani principi religiosi; l’altro –
il pubblicano – che invece è considerato un poco di buono, un irregolare.
Entrambi vengono colti in azione mentre vanno a pregare nel tempio. Il primo fa una preghiera un po’ strana: ringrazia Dio
perché è giusto, e perché non è come gli altri da lui definiti “ladri,
ingiusti, adùlteri”. Il secondo invece non osava neppure alzare gli occhi e continuava a battersi il petto ripetendo: “Dio, abbi
pietà di me peccatore!”. Cosa accade dunque ai due? Il primo non è ascoltato da
Dio, il secondo invece sì, è ascoltato e perdonato. Cos’ha da dirci tutto
questo?
Nella vita, in base alle esperienze che si fanno, si possono sviluppare
alcuni atteggiamenti di fondo. Se una persona ha tanto sofferto, ha due possibilità:
o inacidirsi e indurirsi fino a diventare cieca e a nutrire verso la vita odio
e diffidenza, oppure umanizzarsi, diventando capace di compassione e di
accoglienza. Disprezzare l’altro è una svalutazione che nasce da una ferita non
curata: questa piaga fa paura e non si vuole entrarvi per vedere cosa c’è e
come poterla guarire, e quindi per non essere toccati sul punto debole si
ferisce in anticipo, e così ci si difende, evitando qualunque intrusione nel
proprio dolore. Quando invece dal dolore impariamo a lasciarci trasformare il
cuore come il chicco di grano che caduto in terra muore e morendo porta molto
frutto, allora tutto cambia. E si percepisce un modo diverso di vedere, di
sentire, e di conseguenza di comportarsi. Ci si occupa della propria
interiorità e non si dà più la colpa agli altri. Non perché magari non si è davvero
subito un torto, ma perché ormai si è capito che solo attraverso l’accoglienza incondizionata
della nostra debolezza possiamo accedere alla verità di noi e degli altri. Siamo
tutti fragili e impotenti! Tutti tutti? Sì! E soltanto nel momento in cui accogliamo
l’amore di Dio, sperimentiamo che è stata propria l’umile richiesta di aiuto a
salvarci, è stato proprio il vederci tanto deboli e bisognosi a farci tendere
le mani verso il cielo.
Il primo uomo, il fariseo, in fondo non sta pregando,
perché non ascolta né parla con Dio, si sta solo parlando addosso! È chiuso in
se stesso nell’illusione di potersi salvare da solo. Il secondo, il pubblicano,
lui sta pregando: avverte il bisogno e si affida al Padre. Dio non ci ha mai
chiesto di essere perfetti, questa è stata una deformazione tutta creata dagli
uomini, Dio ci chiede solo di riconoscerci figli e come tutti i figli, di
accogliere con gratitudine la dipendenza dai propri genitori. È proprio vero
che quello che non si riconosce non può essere guarito! E se non è guarito,
diventa ferita infetta che avvelena l’anima e lo sguardo e riduce delle persone
destinate a una vita felice a dei miserabili, che vivono di disprezzo, di critiche,
di pettegolezzi. E non sono capaci di gettare uno sguardo limpido su nessuna
cosa creata!
Chi si umilia sarà esaltato, afferma Gesù al termine del vangelo.
Chi riconosce il proprio nulla, potrà accogliete il tutto di Dio. “Nulla è
impossibile a Dio” è stata la frase che l’arcangelo Gabriele ha rivolto a Maria
perché nella sua umiltà si è sentita tanto piccola e bisognosa, e così la grazia
ha trovato il terreno adatto in cui entrare e far crescere il suoi germogli. “Abbi
pietà di me Signore, abbi pietà di noi Gesù”, è questa la preghiera del cuore
che possiamo fare nostra come tanta tradizione cristiana nei secoli, e così
scoprire che tutti i mali ci vengono nel momento in cui neghiamo la nostra
creaturalità, neghiamo le nostre parti difettose, e per non dover soffrire il
cambiamento, disprezziamo noi stessi, non ci vogliamo bene, e passiamo a
disprezzare anche gli altri. Ogni forma di disprezzo altrui parte da un
disprezzo anzitutto verso se stessi, verso quelle parti di noi che, non accolte,
riteniamo falsamente indegne di noi. Mentre hanno solo bisogno di essere
orientate al Signore. Hanno solo bisogno di un cuore semplice come quello di
Maria, che abbia il coraggio di aprirsi interamente e di lasciarsi trasformare dall’amore,
per poter cantare le grandi opere che Dio è capace di fare in ciascuno.
27 ottobre 2019
Lc 18,9-14
XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni
che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli
altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro
pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: «O Dio, ti ringrazio
perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure
come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla
settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo». 13Il pubblicano invece,
fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si
batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». 14Io vi dico: questi, a
differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta
sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
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