“Rallegratevi
con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”.
“Rallegratevi
con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”.
“Questo mio
figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
Nella Bibbia la ripetizione di un concetto è segno che quella cosa ha un valore immenso, è importantissimo. In questo vangelo di oggi Gesù, nel raccontare alcune parabole, ripete per più volte il concetto del ritrovare ciò che si era perduto. Gesù ci apre una finestra sul cuore di Dio, profondamente commosso per le nostre miserie e sempre pronto a riabbracciarci. Nostro Padre fa festa quando ritrova un figlio che si era perduto, quando torna in vita chi era morto. Quante famiglie sono spaccate per motivi di soldi, di eredità, di avidità, o per non accettazione reciproca, quanto astio covato e quindi quanta morte coltivata nei cuori. L’aria si fa irrespirabile, le relazioni sono improntate alla durezza, alla critica, al giudizio. La vita muore, il bene non fiorisce. Non dobbiamo morire nel senso proprio del termine per essere morti, lo siamo già se restiamo lontani dal perdono, se ci ostiniamo a difendere le nostre ragioni e chiudiamo le orecchie al richiamo del Signore, che ci chiede solamente di aprirci alla misericordia.
San Massimiliano Kolbe, che ha fatto dell’amore il criterio della
vita, proprio per non lasciare all’odio nessuna possibilità di attecchire, ci
offre un consiglio utile: «Chi cade in peccato deve forse
disperare? No, mai e poi mai! Infatti ha una Madre che gli è stata data da Dio,
una Madre che segue con cuore tenero ogni sua azione, ogni sua parola, ogni suo
pensiero. Lei è soltanto Madre di misericordia, perciò si affretta ad
accorrere, anche se non è invocata, dove si manifesta in modo più grave la
miseria delle anime» (SK 1094). È l’invito fraterno a
gettare uno sguardo verso Maria, per domandarle aiuto e consiglio. La fiducia
si conquista a piccoli passi, e se iniziamo, siamo già a buon punto. Il resto
lo farà lei.
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