Gesù inaugura il suo ministero nella sua città, Nazaret. Non
nasconde la sua identità anzi dichiara apertamente che in lui si è compiuta la
parola appena letta della Scrittura. Il messaggio è chiaro: il profeta che
doveva venire, è venuto, sono io, e sto portando la liberazione ai prigionieri
e la libertà in ogni forma di oppressione. Qual è la reazione della sua gente? Non
è di entusiasmo, ma di diffidenza: «Non è questo il figlio di Giuseppe? Come fa
a essere profeta uno che è come noi?». È tale il rifiuto di Gesù che arrivano a
condurlo fuori città con l’intento di ucciderlo, senza mezzi termini. Ma Gesù
passando in mezzo a loro, continua il suo cammino.
Potremmo restare scandalizzati da questi concittadini di
Gesù così duri di cuore. Ma possiamo anche fermarci a pensare cosa significa
questo rifiuto e se ha qualcosa da dire anche a noi. Vedere l’opera di Dio,
rendersi conto di come lui sta parlando alla nostra vita non è poi così difficile.
Sentiamo che qualcosa dentro ci interpella, ci stimola a cambiare, a fare
attenzione a qualche aspetto invece che a un altro. Lo Spirito parla a ognuno
singolarmente. Quello che può frenarci dall’aprirci a questa presenza di Dio
accanto a noi è l’abitudine, l’essere affezionati alle nostre convinzioni, ai
modi acquisiti di vivere, di percepirci e di percepire la realtà. Nelle cose “note”
ci stiamo bene, comodi, il problema è che non ci rendiamo più conto che abbiamo
fatto delle nostre convinzioni la verità assoluta. E così restiamo chiusi allo
stupore, poco allenati a cercare le tracce della grazia nelle circostanze che
viviamo.
Come guarire da questi blocchi? Come mantenerci allenati al
mistero? Maria, a cui noi ci affidiamo, come ha fatto a riconoscere la grazia
nascosta nelle cose? Maria ci mostra un segreto: il custodire nel cuore fatti e
parole. Che non vuol dire mettere sotto chiave le cose belle che si intuiscono
di Dio, quanto farle costantemente girare nel cuore in modo da tenere questo muscolo
sempre riscaldato e pronto a riconoscere Dio all’opera. Massimiliano Kolbe
aveva compreso che solo un cuore allenato ad amare poteva custodire il fuoco
dell’amore acceso da Gesù e così progredire sempre. È una grazia da chiedere e
un esercizio da fare ogni giorno: perché come ha detto papa Francesco “se il
nostro cuore si raffredda, quello di Gesù rimane sempre incandescente”. Non ci
resta che pazientare con la nostra fragilità e andare ancora una volta con
umiltà dal Signore, a chiedere occhi per lasciarci stupire e calore per curare
le nostre inevitabili tiepidezze.
Monica Reale
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 4,21-30
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa
Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che
uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma
egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura
te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella
tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene
accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in
Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e
ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato
Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in
Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non
Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si
alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del
monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli,
passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
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