Cuore di questo vangelo è la compassione, l’abbraccio di Dio, capace di condonare un debito grandissimo, impossibile da pagare. Attraverso il racconto di un re e dei suoi servi, Gesù vuole farci entrare nel mistero della sua vita donata per noi. È lui che ha pagato il debito che pesava sulle nostre spalle e che mai avremmo potuto estinguere. Lo ha pagato restando sulla croce, senza usare il suo potere per liberarsene. E così, con l’amore, ci ha salvati.
Con le sole nostre
deboli forze non riusciamo a risolvere la vita, non usciamo dalla rete dei
nostri ragionamenti, delle nostre impotenze e dei nostri rancori. Il servo del
racconto è presentato mentre “prostrato a terra, supplicava il re” dicendogli: “Abbi
pazienza con me e restituirò ogni cosa”. E il re, mosso a compassione, lo libera. Immaginiamo
lo stupore di quell’uomo che si vede liberato all’improvviso di un peso immenso!
Chi fa quest’esperienza rinasce e la sua gioia è incontenibile… ma poiché siamo
liberi, possiamo anche sciupare il dono e non farne tesoro. Quel servo infatti,
invece di liberare a sua volta gli altri, si accanisce contro un suo debitore.
Non ha compassione, e lo fa gettare in prigione. Forte la domanda del re: “Non
dovevi avere anche tu pietà come io ne ho avuta per te?”.
Com’è possibile che
liberati da Cristo possiamo ricadere in schiavitù e decidere di non perdonare
chi commette qualche errore verso di noi? “Cristo ci ha liberati per la libertà”,
dice san Paolo. Ma nulla è automatico in noi. Perfino la memoria del nostro incontro
incandescente con il Signore può vacillare davanti ai colpi della vita. Quale
rimedio? Noi che ci siamo affidati a Maria troviamo in lei la possibile
risposta. Maria non ha dato per scontato il dono di Dio, quando l’angelo se n’è
andato, ha tirato su le maniche e ha cominciato a lottare affinché quella luce
mai tramontasse, e la lotta è diventata sempre più dura fino alla prova
massima, la morte del figlio. In quell’abbandono di Maria troviamo la risposta:
nel suo sì, nella sua sconfinata fiducia nella misericordia del Padre troviamo
le ragioni per continuare a lottare anche noi. Sì, perché amare è lottare, come
perdonare, lottare affinché nonostante tutto dica il contrario, la speranza
della liberazione del cuore nostro e altrui assume i contorni della certezza di
fede. E si tratta allora di perseverare nella fede, sperando contro ogni
speranza.
13
settembre 2020
In quel tempo 21Pietro
si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe
contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E
Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte
sette.
23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare
i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i
conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché
costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui
con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora
il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti
restituirò ogni cosa». 27Il padrone ebbe compassione di quel
servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli
doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo:
«Restituisci quello che devi!». 29Il suo compagno, prostrato a
terra, lo pregava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti restituirò». 30Ma
egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse
pagato il debito.
31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto
dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. 32Allora
il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: «Servo malvagio, io ti ho
condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non
dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di
te?». 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini,
finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il
Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio
fratello».
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