Domenica del buon Pastore, questa IV del tempo
pasquale, in cui Gesù è colto dall’occhio attento di Giovanni mentre cammina
nel tempio, incontrando vari personaggi che gli fanno domande e gli portano
obiezioni. Nei versetti immediatamente precedenti alcuni giudei incalzano Gesù
e gli chiedono di dire apertamente se è lui il Cristo. Gesù con la sua solita
mitezza gli fa presente che glielo sta appunto dicendo che è lui, e che le
opere che lui sta compiendo – guarigioni, liberazioni, perdono – lo dimostrano.
Allora dove sta l’inghippo? Dove sta il nodo che impedisce a questi bravi ebrei
di accogliere Gesù?
È Gesù stesso a dircelo, paragonandosi al pastore che ha
delle pecore amate per le quali dà la vita. Queste pecore, poiché sono sue, lo
ascoltano, e lo seguono. Gesù parla di un’appartenenza così totale e coinvolgente
che nessuno può più strapparle dalla sua mano. Sappiamo che l’aggettivo greco
non è buono ma bello (kalos): io sono il bel pastore. A cosa servirebbe infatti
la nostra fede se non fosse bella? È la bellezza che attira il nostro sguardo,
e scalda il nostro cuore. Mai nessun innamorato si è deciso a dichiarare il suo
amore per la sua donna dicendole che ciò che lo ha colpito è la sua bontà: dirà
piuttosto che è stata la sua bellezza! Ora però di che bellezza si stratta? Perché
anche questa è una domanda da farsi. Fondamentale per la nostra felicità. Perché,
come dice Rupnik, una Chiesa buona non attira nessuno, una Chiesa bella sì! La bellezza
è quell’atteggiamento che scopriamo in Gesù, nella sua vita, nei suoi gesti e silenzi,
un atteggiamento di cura verso l’altro, di attenzione, di rispetto, quell’I
care (mi sta a cuore) che cambia le cose, perché fa fiorire ciò che senza amore
è destinato ad essere sterile. E non possiamo non pensare a Maria, sua madre,
che lo tirato su così bene, gli ha trasmesso questa stessa cura e attenzione
che poi lui da grande ha saputo a sua volta offrire a quelli che incontrava.
Quale il segreto di Maria e di Gesù? Per entrambi è l’ascolto, ascolto del Padre,
della vita, degli altri. Gesù tante volte dirà che lui fa solo ciò che piace al
Padre, e Maria stessa, pellegrina nella fede, ha rinnovato ogni giorno quell’avvenga per me con cui ha permesso che
iniziasse la storia della salvezza. È proprio vero, come dice il Papa, che la
radice del peccato è il non ascolto della Parola. Quando vogliamo fare da soli,
ci chiudiamo nella tristezza e spegniamo la vita dello Spirito che vuole agire
attraverso di noi. Come fare per essere anche noi pecorelle felici dietro il
bel pastore? Il primo passo, sempre valido e necessario, è ascoltare la sua
voce, sentirla familiare, sentirsi figli amati, lasciarsi condurre.
Massimiliano Kolbe ci aiuta in questo cammino di apertura, perché con la sua
vita ci ricorda che l’essenziale è ascoltare la voce di Dio e assecondarne le
ispirazioni. Lasciamoci anche noi condurre come, dove, quando, Lui e lei
(Maria) vorranno.
12 maggio 2019
Dal Vangelo secondo Giovanni 10, 27-30
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce
e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno
e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola»
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