Giudicati
sull’amore. È questo il messaggio semplice e sconvolgente che Gesù ci consegna
in questa domenica in cui si conclude l’anno liturgico prima dell’Avvento. È la
solennità di Gesù Re dell’universo, che ci fa riflettere sull’essenziale della
vita e della storia. Il fatto cioè che tutto dipenda da Dio e trovi in Lui il
suo significato e la sua verità. Quando chiudiamo una fase della vita ed
entriamo in una nuova, facciamo un po’ di bilanci, così come quando siamo alla
conclusione di altri tipi di esperienze. Nella vita spirituale questa rilettura
è un bisogno quotidiano, anzi costante. Non c’è giorno nel quale non sentiamo l’intima
esigenza di fare sintesi: allora, come sta andando la mia giornata? Cosa sto
vivendo e come lo sto vivendo? Qual è il tracciato che sto seguendo? Come mi
sento dentro l’itinerario di Dio? Discernimento che si svolge nelle pieghe del
nostro vivere, a volte più lineare, altre più oscuro, faticoso, e però se
vissuto come si deve, cioè sotto lo sguardo di Dio, insieme con Lui, sempre fecondo.
Un esercizio quotidiano che se richiede la nostra applicazione, tuttavia rigenera
e dà senso a tutto il resto, dunque diventa una sorgente di benessere. Per fare
questo esercizio di rilettura Gesù ci lascia un criterio sempre valido, quello
dell’amore. Essere giudicati sull’amore, sulla tenerezza e la prossimità
esercitati nei confronti degli altri dovrebbe essere un ulteriore motivo per
amare ancora di più la nostra identità di figli. Cosa ci sta chiedendo di così difficile
Dio quando ci chiede semplicemente di amare?
Eppure
vediamo in noi e intorno a noi tanta fatica ad entrare in questa logica, in apparenza
semplice e bella, dunque amabile e desiderabile. Forse una risposta la troviamo
nella Prima lettura. Quando Dio dice che sarà Lui stesso ad andare in cerca del
figlio perduto, a curarlo, fasciare le sue ferite, lenire le sue lacrime. Se
non ci siamo mai sentiti figli, se non ci siamo aperti a Lui perché si prendesse cura di noi, se non abbiamo spalancato la nostra anima alla sua misericordia,
allora rischiamo di avere di Lui un’immagine distorta. Non avendone fatto
esperienza, lo consideriamo responsabile dei nostri mali. Non ci fidiamo e
dunque non amiamo.
Maria,
modello del credente, ci sta davanti proprio come esempio della persona che si
è fidata e affidata. Ha riconosciuto la propria piccolezza, il bisogno di Dio e
si è affidata a Lui, si è messa totalmente nelle sue mani. Si è lasciata
curare, amare, riempire della sua tenerezza. E così ha trovato la motivazione
più vera per fare altrettanto. Affidarci a lei ci fa entrare in questa dinamica
di felice dipendenza da Dio. Ci fa sperimentare la gioia di essere curati e
leniti nelle nostre piccole o grandi piaghe interiori, ci fa assaporare nel silenzio
di un intimo colloquio la verità del suo amore, ci pone dei segnali sul cammino
perché non ci perdiamo. Così questa fiducia e questo amore ricevuti si
esprimono in gesti concreti di accoglienza dell’altro, così com’è e come si
sente. E nella misura in cui porteremo con noi la memoria viva della
misericordia ricevuta, imprimeremo nei nostri gesti più amore, più attenzione e
più vicinanza. Sarà lo Spirito stesso a farlo in noi. Sì, c’è tanta misericordia
da donare, ne siamo consapevoli, ma c’è prima tanta misericordia da riconoscere
e da accogliere. Se non ho fatto l’esperienza di sentirmi debole pecorella
malandata che viene raggiunta dall’amore e salvata, difficilmente sarò in grado
di andare oltre me stesso e accorgermi di chi mi passa accanto.
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