
Entrando nel testo, però,
ci rendiamo conto di capire bene il discorso di Gesù. Finché non c’è un vero cambiamento
del cuore e della persona tutta intera, non c’è capacità di vivere come figli,
di essere cioè familiari di Dio, di essere persone credenti. Gesù e il Vangelo
devono penetrare nelle ossa, nelle viscere, devono entrare dappertutto e dare
nuova forma al nostro spirito, a partire dal cambio di mentalità. Il primo figlio
ci ricorda tanti ragazzi che vediamo nelle nostre famiglie ma anche tanti
adulti. Di Gesù e di Chiesa non ne vogliono sapere, fanno muro, s difendono dai
discorsi religiosi, tagliano corto quando qualcuno vuole fargli una proposta di
fede. L’apparenza sembra dire che sono lontani, ma in verità dovunque si
trovano saranno sempre e comunque in Dio, che lo sappiano o meno, che ne siano
coscienti o no. Paolo Ricca ha detto che Dio è Dio dell’uomo prima ancora di
essere Dio del cristiano. In effetti al di là di quello che possiamo suscitare
noi con la nostra mediazione, lo Spirito del Signore che è appunto Signore di
ogni cuore sarà sempre più informato di noi circa lo stato interiore delle
persone. La partita si gioca tra il cuore umano e Dio, è quella la tensione
viva che ogni giorno anima dal di dentro la vita di ogni persona.
Allora ciò
che conta è che nel cammino della vita a un certo punto accada la presa di coscienza:
si pentì e andò. Penso che sia questa dinamica uno dei frutti più belli dell’affidamento
a Maria, perché quando mettiamo con fiducia la nostra vita nelle sue mani, lei,
in quanto vera Madre della grazia, ci aiuta a farci modellare dallo Spirito e
favorisce la sua azione in noi. La sua opera materna è dispositiva, ci prepara cioè
a ricevere il dono, lo Spirito Santo che Gesù ha promesso di dare “sempre” e in
modo “certo” a chiunque glielo domanda nella preghiera. Maria ci aiuta a
pentirci, convertirci e andare, là dove il Signore ci precede per nuove
chiamate e nuovi approdi.