
Ma
scopriamo invece che gli invitati rifiutano uno ad uno. Quello che colpisce è
che ognuno ha qualcosa di “proprio” da difendere. Davanti a un re che invita
alla “sua” festa, a entrare nella sua mentalità e nel suo mondo, si preferisce
darsela a gambe e voltare le spalle, per tornare a chiudersi nel “proprio”
mondo. Qui vediamo tutta una serie di resistenze interiori a volte dure come
macigni dietro le quali l’uomo può arrivare a trincerarsi, difendendo coi denti
un possesso che è rifiuto della relazione con Dio e con gli altri. Qui vediamo
tracciata l’ombra nera dell’individualismo, della chiusura narcisistica di cui
il Papa sta tanto parlando. Principale causa dei tanti no detti a Dio che
chiama. Eppure, pensiamo noi, si tratta di un invito alla festa, si tratta di
festeggiare, di felicità. È vero, però, che per assumere un abito nuovo, direbbe
san Paolo, bisogna lasciare il vecchio. C’è una trasformazione del cuore da
operare.
Perché
la festa è sua e anche noi per festeggiare dobbiamo gustare le sue stesse
gioie. Avere il suo palato, il palato del re. Nella Bibbia si parla tanto degli
idoli preferiti all’unico Dio vivente: ma l’idolo più insidioso non è una cosa,
è l’io stesso dell’uomo, il suo ego non convertito. È come quando preferiamo
credere di più a quello che pensiamo noi piuttosto che a quello che ci
suggerisce la Parola. L’affidamento a Maria, puntando sulla fiducia, che è
credere prima di tutto e molto di più a Dio che a qualunque altra cosa,
influisce sul nostro spirito in maniera molto costruttiva, facendoci gradualmente
maturare e permettendoci di lasciare pian piano la presa dalla nostre certezze-gabbie
per sperimentare un’aria buona, libera, di festa, in cui nella ritrovata
relazione con Dio e con lei recuperiamo anche noi stessi e il nostro vero sé.
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