Non giudicare, ma salvare
(cf. Gv 3,16-18): questo è lo scopo della presenza di Gesù nel mondo e nella
nostra storia personale. Tra gli aspetti della fede questa è forse una tra le più
difficili da accettare. Come mai? È davvero tanto difficile lasciarsi salvare? È
forse più facile restare intrappolati nel giudizio e nell’autogiudizio? Di che
giudizio si tratta? È quell’atteggiamento per cui abbiamo bisogno di difenderci
da quello che l’altro è, dando giudizi di merito su quello che dice e che fa. E
finendo così con l’ingabbiarci dentro lo spazio angusto della sfiducia e delle
supposizioni.
Gesù nel Vangelo di
questa domenica dedicata al mistero della Trinità, ci trasporta col pensiero e
col cuore dritto al succo della salvezza: l’amore col quale il Padre ci ama che
si è manifestato nella carne del Figlio. È come se Gesù ci stia dicendo che
finché non accogliamo la realtà tutta intera e in quella ci giochiamo, saremo
sempre schiavi di vite non autentiche, parallele a quella reale, in cui ci
siamo al centro noi e i nostri costrutti mentali. La realtà con tutte le sue
espressioni tanto imperfette quanto vive, pulsanti, è e resta sempre il
migliore antidoto al non senso e alla perdita del vero sé. Per questo Gesù ci
riporta sempre alla sua carne, al mistero della sua decisione libera di farsi
uno di noi. Non troviamo la verità scartando qualche aspetto di noi per
valorizzarne un altro, la troviamo soltanto se accogliamo in modo
incondizionato noi stessi, a partire da tutta quella variegata gamma di
pulsioni e istinti che colorano il nostro essere.
Accogliere non certo per
assecondare tutto in modo indistinto ma per imparare dal Padre ad avere uno
sguardo veramente misericordioso e comprensivo su di noi, prima ancora di scegliere la necessaria via del
bene. Ci dà tanta pace questa parola di Gesù oggi: vengo a te per essere la tua
salvezza, non per colpevolizzarti. E Maria, di cui ci sentiamo figli, ci
incoraggia ad avere un cuore rasserenato, perché non ci è chiesto di essere
quello che non siamo, ma di lasciarci guidare verso il bene, riscegliendolo ogni
istante e quindi tagliando i ponti con tutto quanto cerca di distaccarci da
questa possibilità. Maria ci insegna a custodire una sana tensione tra i due
poli del nostro essere, quello positivo e quello negativo, fragile e ferito.
Ben sapendo che non c’è peccato nel sentirsi inclini al male ma solo nel
volerlo e nello sceglierlo. I santi hanno raggiunto questo grado di
umanizzazione perché hanno accolto se stessi in tutta verità e si sono
impegnati a mantenersi fedeli a Dio, perseverando nel bene.
Maria non ha
avvertito nella sua carne le cattive inclinazioni perché era immacolata, ma non
è stata risparmiata in nulla quanto al sacrificio e al rinnegamento di sé.
Anche le più semplici gioie come quella di essere madre, le è stata tolta
perché diventasse madre a un livello ben diverso. Sentiamoci compresi profondamente
da nostra Madre, e impariamo a ringraziare il Signore per tutte le opportunità
di bene che dissemina nei nostri giorni. Perché anche oggi con il suo amore
incarnato ci salva da false visioni della vita e ci innesta nella verità, di
cui possiamo gustare tutta la grandezza. «Dio infatti non ha mandato il Figlio
nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di
lui». Nessuno sguardo giudicante o mortificante per noi figli, ma piena
comprensione e quindi fiducia nelle enormi possibilità di ripresa e di
fecondità di cui siamo dotati.
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