
Questo
amore che è salvezza dal male e che Gesù dona negli ultimi istanti, mentre
agonizza sulla croce, è vita per il buon ladrone e per quanti lo accolgono. C’è
una tale grazia nel soffrire per amore da farci comprendere perché i santi
non hanno avuto timore di soffrire, anzi hanno abbracciato le prove e le
lacerazioni come un bene prezioso. Hanno accolto la salvezza di Gesù e non si
sono fatti una salvezza a propria misura, ma hanno lasciato il bisogno tanto
naturale di benessere per seguirlo sulle vie misteriose della donazione di sé.
L’affidamento a Maria ci pone in questa scena, anche se in Luca non c’è la
parola che ci affida direttamente a lei. Maria avrebbe avuto tutti i diritti di
dire: “salva te stesso”, anzi avrebbe avuto il diritto di gridarlo. Ma il
linguaggio della pretesa non le appartiene, neppure la sfiora. Il suo abbandono
è un profumo che sale lento e silenzioso dalla terra bagnata di sangue del
figlio amato al cielo limpido e puro in cui abita l’altra natura del figlio
suo, quella divina. Affidarsi a Maria, chiederle umilmente di essere accolti
nello spazio dolce e provato del suo cuore di madre, significa allora lasciare
che anche il dolore trovi una casa accogliente in cui poter dispiegare la sua
vita, misteriosa quanto vogliamo, ma pur sempre vita. Nessuno di noi è capace
di sopportare allegramente la prova, ma tutti possiamo viverla in un modo
cristiano, non fuggendola, ma lasciandola essere. Maria ha raccolto dalla bocca
del figlio ogni sillaba, anche quelle dette in quest’ora: “Oggi sarai con me
nel Paradiso”.
C’è un paradiso di amore da accogliere ogni istante specialmente
quando stiamo male, e se ancora non lo sperimentiamo forse è perché non abbiamo
ancora chiesto con tutto il cuore, come il ladrone disperato: “Ricordati di me,
Signore”.
Nessun commento:
Posta un commento