Il
Vangelo di oggi ha tratti sconvolgenti (cf. Lc 17,11-19). Ci sono dei malati,
persone sole, emarginate, bloccate nella paura e nel senso di disprezzo e
rifiuto, e c’è Gesù, che con la forza della sua parola li guarisce. Il ponte
che apre la strada al miracolo è l’invocazione che esce dai loro petti
affaticati dal dolore: “Gesù, maestro,
abbi pietà di noi!”. Tutti e dieci ricevono il soccorso della grazia, uno
solo però torna a ringraziare il
maestro. E Gesù lo loda perché ha avuto fiducia in Lui e così è salvato. Ma non
sono salvi anche gli altri?
Ci
viene in mente il canto di lode di Maria,
che è un grazie declinato in mille sfumature differenti, rivolto al Padre
di cui vede chiaramente l’azione e nel riconoscerla è presa da stupore e
meraviglia. Guardando al modo in cui Maria ha collaborato al progetto divino,
capiamo come non basti ricevere l’amore di Dio se questo poi non diventa vita
anche nostra e non permea ogni nostro gesto, scelta, parola. Testa, cuore e mani,
ci verrebbe da dire. Questo amore che Dio costantemente e senza interruzione
riversa nei nostri cuori, è vita e non sopporta di essere incasellato e chiuso
a chiave dalle nostre resistenze e dai nostri schemi. Ecco perché il lebbroso
guarito fa bene a ritornare sui suoi passi. In fondo lui è l’unico che non obbedisce
a Gesù e al suo comando di recarsi dai sacerdoti.
Un
modo provocatorio con cui ancora una volta Gesù capovolge la nostra logica e ci
insegna una cosa tanto facile quanto scomoda: ascoltare il nostro cuore. Se come Maria lasciamo al nostro cuore e ai
nostri affetti la libertà di spandere il loro profumo come sentono e nel
momento in cui lo sentono, faremo delle belle scoperte riguardo al modo in cui
Dio ci parla nelle concrete situazioni della vita. Proprio ascoltando il suo
cuore il lebbroso ha incrociato lo sguardo di Gesù e ha ricevuto una parola per
la vita, la parola che lo ha salvato per sempre.
Nessun commento:
Posta un commento