Povertà e ricchezza
al centro di questo Vangelo domenicale (Lc 16, 19-31). Una povertà che benché segno
di fragilità porta poi a vedere Dio, a essere suo familiare e godere della sua
compagnia per sempre. Un ricchezza invece che chiude l’orizzonte della vita e lo
appiattisce sul limite e su questo lo richiude, come in un abbraccio che invece
di vita causa asfissia. Ma cos’ha di tanto grave la ricchezza?
Dipende certamente
dal tipo di ricchezza a cui ci si riferisce. Se siamo ricchi di valori e di
preghiera, se la nostra vita interiore è dinamica, sempre aperta alle crescite
che Dio ci domanda, se in una parola, siamo persone spirituali, capaci cioè di
non eliminare la domanda su Dio dalla nostra vita ma di integrarla e di farci
pellegrini di senso, allora siamo ricchi da ammirare e non da commiserare. Se
invece la nostra ricchezza significa limitarci a riempire i bisogni che di
giorno in giorno si affacciano dentro di noi, senza fermarci a riflettere sull’origine
di questa insoddisfazione, allora è piuttosto povertà e condizione da
compatire.
Pensiamo allora alla
povera per eccellenza: Maria. Quale tipo di povertà ci insegna e ci aiuta a vivere?
Aspettarsi tutto da Dio è la più bella definizione di povertà mariana. Avere l’anima
tesa verso la sua Parola, il suo passaggio, le sue proposte quotidiane. Esserne
coscienti e assecondarle, stare in ascolto, con l’umiltà di chi ha da ricevere
dalla vita prima che dare e desidera lasciarsi raggiungere da una nuova
possibilità di amore e di donazione. Ci
affidiamo a Maria per imparare l’arte della povertà che dal punto di vista di
Dio diventa ricchezza. Quale gioia e forza più grande del sapersi amati da Dio?
Se è vero com’è vero che le persone sofferenti sono quelle che si sentono orfane
su questa terra, schiacciate su un orizzonte senza futuro, senza eternità,
quale felicità ci invade nel vivere da figli amati, dal momento che non solo
siamo custoditi qui ma soprattutto siamo attesi lì, nel cuore del Padre, dove
tutto troverà la sua piena realizzazione.
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