sabato 21 dicembre 2019

Dio che scioglie i nodi

Protagonista di questa vangelo è Giuseppe, lo sposo di Maria, al quale viene fatto un annuncio, in una modalità differente da quello fatto a Maria. Sarà nel sogno che un angelo andrà da lui per rivelargli il progetto di Dio. Ma cos’è accaduto a Giuseppe di tanto decisivo per cui Dio interviene parlandogli in sogno? Giuseppe è venuto a conoscenza della maternità di Maria. Lo Spirito Santo l’ha resa incinta di un bambino che sarà il Figlio di Dio, destinato ad essere grande. Davanti a questa comunicazione di Maria, Giuseppe resta inchiodato. La realtà bruscamente viene a destabilizzarlo. La vita che pensava di vivere in un attimo crolla miseramente. Tutto l’immaginario attorno a cui si era costruito viene meno. Non sposerà più la donna che ama, non avrà più una famiglia, non sarà benedetto come ogni ebreo che, nella vita familiare ricca di amore e di figli, vedeva la realizzazione concreta della benedizione di Dio. Messo davanti a un intervento di Dio tanto grande, Giuseppe ha paura. Non se la sente di continuare in un legame in cui ormai sembra essere il terzo intruso. Maria e Dio stanno camminando su una strada straordinaria che sembra portarli lontani da ogni normalità. Perciò, sentendosi piccolo e impotente, da uomo retto qual era, decide di farsi da parte. E di rompere il legame con Maria nel segreto, in modo da evitarle i rischi delle conseguenze di un ripudio pubblico.

Mentre Giuseppe va dolorosamente considerando queste cose, ecco, Dio interviene. Fa irruzione nella sua vita mentre dorme, e sogna. L’angelo gli porta il messaggio del Signore: “Giuseppe, non temere di prendere con te Maria, perché quello che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”. Impressionante la reazione di Giuseppe: appena si svegliò, fece come gli aveva ordinato l’angelo e prese con sé la sua sposa.
Un vangelo stupendo, nel quale cogliamo la dinamica fondamentale di Dio: essere l’unico Salvatore. Le nostre esistenze, anche le più lisce, sono improvvisamente segnate da eventi che piombano talvolta come veri e propri macigni sulla nostra testa. La prima reazione è di rifiuto, di fuga, è sentire sensazioni di forte tensione e sofferenza perché la realtà è la realtà e non riusciamo a cambiarla, pur facendo ogni possibile sforzo e pregando tutti i rosari possibili. Vorremmo che Dio ci salvasse dalle situazioni e che ci togliesse la fatica di starci dentro, di sentirci addosso quel peso opprimente. Ma Dio non agisce così. Non accetta la scelta di Giuseppe di fuggire dalla sua ora di prova. Non si arrende al suo no. Lo prende per mano, addirittura apparendogli in sogno, per fargli assumere tutta la responsabilità della situazione, per fargli fare l’esperienza che può attraversare le tenebre lasciandosi guidare verso la luce.

Solo il Signore può con la sua vicinanza farci entrare in contatto con le nostre ferite, che noi, da soli, al solo sfiorarle, tremiamo. Esiste una via nota a Dio solo che misteriosamente si accende e diventa percorribile all’interno degli eventi più faticosi. Se, anche tra le lacrime, ci affidiamo all’amore di Dio e all’amore materno di Maria, se facciamo quest’atto di abbandono, consapevole e tenace, e lo rinnoviamo ogni istante, comprendiamo che tutto quello di cui c’è bisogno è ascoltare la calda voce del Signore, prestare attenzione ai segni che dissemina nel nostro cammino, a come ci incontra nella nostra quotidianità, e come Giuseppe siamo resi capaci di cogliere l’orientamento che vuole dare alla nostra vita. In fondo quello che ci fa soffrire non è la vita con le sue prove, ma l’essere o meno soli nell’affrontarle. Abbiamo molto da imparare anche dal silenzio di Maria, che pervade questa pagina di vangelo. Nel suo silenzio c’è la prova più eloquente della sua sconfinata fiducia nell’agire di Dio. Maria avrà pensato che se Dio le aveva chiesto qualcosa di tanto impegnativo, avrebbe lui stesso provveduto. Se uno si appoggia completamente a Dio, cosa deve temere? Mancava il sì di Giuseppe, e anche questo venne.
22 dicembre 2019
Mt 1,18-24
IV domenica di Avvento
18Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
22Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
23Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:
a lui sarà dato il nome di Emmanuele,
che significa Dio con noi24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

sabato 14 dicembre 2019

La salvezza secondo Dio


Nel vangelo di questa terza domenica di Avvento assistiamo a un dialogo importante tra il Battista e Gesù, dialogo fatto a distanza, perché Giovanni è prigioniero nella fortezza di Erode, dove troverà la morte di lì a poco. I suoi discepoli vanno da Gesù per riportagli la domanda del Battista: «Sei tu il Messia oppure dobbiamo aspettare un altro?». È un interrogativo che mostra il momento critico e drammatico che il Battista sta vivendo. Dopo avere annunciato per mari e monti l’arrivo del Messia, ora sembra afferrato da un dubbio sull’identità di Gesù. È lui oppure no?

Un dubbio che ci rende Giovanni amico e compagno di cammino. Dio non ha mai desiderato dei figli che non chiedono, non usano la loro testa per pensare, per cercare, per essere aiutati a capire e credere. Anzi, il Battista qui si sta rivolgendo a Gesù stesso, sta domandando direttamente a lui e non ad altri, la sua è la preghiera più bella, quella che sgorga dal cuore quando – posti davanti a grandi prove – sappiamo volgerci verso l’unica persona che ci può salvare. Come Maria a Cana, che non esitò e si rivolse a Gesù, affidando a lui la necessità del momento. Gesù infatti interrogato, risponde. Dio sempre ci risponde, non è sordo alle nostre suppliche, ciò che conta è essere disposti ad ascoltare quello che ci risponde, che tante volte non equivale a quello che immaginiamo. Ma che è il maggior bene per noi. Gesù risponde aprendo la Bibbia. Nella parola del profeta Isaia vede annunciata la sua persona. Colui del quale Isaia parlava, ora è qui e ha il suo volto. Scrive Matteo: «Gesù rispose loro: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete:  i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo”». Giovanni può capire che Gesù è davvero il Messia perché compie le opere che Isaia aveva annunciato in relazione al futuro Messia che sarebbe arrivato.

È questo il segno che Dio è in mezzo al suo popolo: chi non vede, torna a vedere, chi è malato guarisce, chi è morto rinasce, chi è povero di cuore può accogliere il vangelo, la parola che salva. Quella di cui parla Gesù qui è la grande liberazione del cuore che tocca chiunque sia disposto a scendere dall’alto delle sue convinzioni e voglia umilmente dialogare con Dio. Giovanni non sarà liberato, morirà prigioniero, come Maria non sarà la madre di un Messia vincente secondo il mondo. Gesù stesso non ha voluto scendere dalla croce pur potendo. Contempliamo in questa domenica la salvezza portata da Gesù. Non una salvezza dalla vita, che ci eviti le magagne e le grandi prove, i grandi dolori senza un perché, ma la salvezza dentro la vita, nelle pieghe dell’esistenza. Come potrebbe un morto risorgere se prima non muore? Come può un cieco vedere se prima non poteva? Come può un malato guarire, se prima non aveva il cuore spezzato? E se prima l’uomo vive tutte queste situazioni dolorose, questo significa che non gli è tolta la fatica della vita, però mentre sperimenta tutta questa complessità di situazioni, può trovare, se apre il cuore, la via della salvezza. Farsi salvare dal Signore, secondo quello che lui riterrà opportuno per il bene maggiore di tutti. Il cieco nato tornò a vedere, la figlia di Giairo fu risuscitata, Gesù invece morì in croce, e tante nostre situazioni si risolvono non secondo noi ma secondo Dio. Dove sta la salvezza? Nell’abbandono nelle mani del Padre, i cui pensieri non sono i nostri e le cui vie non corrispondono alle nostre. Chi avrebbe potuto solo immaginare lo splendore della risurrezione?

Affidarci a Maria significa imparare, da questa nostra sorella nel cammino, il valore dell’abbandono alle vie di Dio, alla sapienza della croce. Puntare l’attenzione su ciò che conta, su come Dio vede noi e la situazione che gli presentiamo. Tante volte Massimiliano Kolbe si chiese cosa fare, come affrontare ciò che gli capitava e sempre trovò in sé questa risposta: «Come, quando e se lo vuole l’Immacolata», nella certezza di fede che se Dio non libera secondo noi, tuttavia divinamente libera e lo fa secondo lui, dunque aprendo strade dove strade sembrano non esserci e fecondando le realtà più oscure con la tenerezza rivoluzionaria del suo amore. Si rallegrino perciò il deserto e la terra arida, come dice Isaia nella Prima lettura, non perché tutto va secondo il nostro modo di pensare, ma perché «Dio viene a salvarci» (cf. Is 35,1ss). E questo ci basta.

15 dicembre 2019
Mt 11,2-11

III domenica di Avvento


In quei giorni 2Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò 3a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 4Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
7Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 9Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10Egli è colui del quale sta scritto:
Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero,
davanti a te egli preparerà la tua via
.
11In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.


sabato 30 novembre 2019

Tenersi pronti


Iniziamo l’Avvento, tempo di attesa e di desiderio, con l’invito stesso di Gesù ad essere vigili, attenti, pronti. Ma attenti a che cosa? Il discorso del Signore si riferisce alla fine della storia, al momento cosmico della parusìa, del suo ritorno definitivo, quando il male sarà definitivamente e per sempre messo a tacere, e ci sarà soltanto la realtà del Paradiso, della gioia e della felicità eterna nell’abbraccio con Dio. Ma facciamo un passo indietro. Gesù paragona questo momento ai tempi di Noè, quando, davanti al disastro ormai vicino, le persone vivevano come se niente fosse, ignare di tutto, perse in mille affanni e occupazioni, senza accorgersi di alcuni segni che indicavano il momento forte che si stava avvicinando. Solo Noè ascolta la sua coscienza e intende la voce di Dio e si mette a costruire quell’arca che sarà la sua salvezza. 
Una volta Gesù aveva detto: quando tornerò, troverò la fede sulla terra? Il Signore in questi 2000 anni e più, ha fatto tutto per l’umanità, ha donato se stesso, ci ha dato il suo Spirito, ci ha resi membri della sua Chiesa dove siamo nutriti e risanati nell’intimo dalla grazia, ci ha donato sua madre come madre spirituale, ha suscitato tanti santi – noti e non – che sono stati e sono, con la loro vita donata, il loro amore e la loro misericordia, un segno della presenza paterna del Signore. Eppure quanta noncuranza verso il Signore, quanta incapacità di fermarsi e di accorgersi che lo Spirito di Gesù è già in noi e attende solo il nostro sì per farsi sentire, toccare e sperimentare. Se di Dio non si fa esperienza, non c’è fede. C’è solo illusione, idea di Dio, ma non incontro reale con lui. Allora questo “tenersi pronti” di cui parla Gesù nel vangelo non riguarda solo il futuro, ma il qui ed ora. Gesù già viene, come potrebbe non essere così dal momento che abita in noi? Il paradosso però è che deve invitarci a stare attenti alla sua presenza, a riconoscerlo, ad accorgerci perché noi siamo con la testa e con il cuore altrove, forse quasi completamente identificati con il ruolo che abbiamo, col lavoro che svolgiamo, e con tante altre identità, spesso faticose da portare, mentre Dio ci attende per liberare la nostra vera identità, quella che non ci hanno attaccato addosso gli altri, ma è suo dono, ed è l’identità di figli amati. Il succo di tutto questo discorso di Gesù ha il sapore dolce del desiderio. 
Dio desidera stringere una relazione sempre più autentica e fiduciosa con noi, vuole vederci sereni nella relazione con lui, felici di potergli parlare a tu per tu, nella semplicità dei nostri giorni, per discernere e scegliere con lui le piccole o grandi cose della vita. Per affrontare con lui i momenti bui, quando è impossibile superare l’impotenza e il limite e c’è solo una via da percorrere, ed è l’affidamento totale a lui, il sentirsi come bambini nelle sue mani. Com’è semplice il messaggio di Gesù eppure quanta durezza di cuore e incapacità di ascoltare solo lui, lasciando l’attaccamento al nostro io, al nostro modo di percepire e vedere, per abbracciare la sua modalità di guardare alla vita. 
Questa è la fede pura di Maria, assoluta, immensa, capace di credere fermamente al Signore e alla sua Parola più a che all’evidenza della vita. A volte non ci lasciamo consolare da Dio e dalla sua Parola perché siamo troppo attaccati alla nostra tristezza sterile. Al nostro ripiegarci su noi stessi, al nostro intestardirci che le cose sono come sono e non possono essere altrimenti. Mentre Gesù ci dice che con la fede noi possiamo smuovere le montagne! L’affidamento a Maria ci aiuta a spostare il baricentro da noi al Dio e a scoprire che stando così sbilanciati non cadiamo affatto anzi entriamo nella vita nuova e libera dei figli di Dio, che tutto possono perché è Dio che gliene dà la forza. Se viviamo da figli, quando nostro Padre verrà, non saremo tristi, ma saremo capaci di corrergli incontro, sapendo che asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi e ci farà vedere oltre, dove la vita ha l’ultima parola.
1 dicembre 2019
Mt 24,37-44
I domenica di Avvento
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:«37Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. 38Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca, 39e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo. 40Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato. 41Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l'altra lasciata. 42Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo.»

sabato 16 novembre 2019

Non curiosi ma fiduciosi


La cornice nella quale è inserito il discorso di Gesù nel vangelo di questa domenica è il tempio di Gerusalemme, splendente di bellezza con la sua architettura maestosa e le sue pietre preziose, tanto che nell’immaginario comune si pensava che solo chi poteva vederlo nella vita poteva fare esperienza della bellezza: lì risiedeva lo spirito del Signore. Mentre alcuni elogiano questo splendore, Gesù fa un discorso diverso: dice che verranno giorni in cui il tempio sarà distrutto. E quando gli chiedono, curiosi, quando avverrà, Gesù ne approfitta per dare un importante insegnamento sulla vita. Non bisogna preoccuparsi di sapere quando il mondo finirà o voler sapere il proprio futuro. Non bisogna ascoltare chi dice di saper leggere nel futuro o afferma di sapere quando i tempi finiranno. Si tratta di una curiosità insana, perché ciò che sta a cuore a Dio non è che noi abbiamo il controllo delle cose, come piacerebbe  a noi, ma che noi ci affidiamo a Lui, appoggiamo la nostra esistenza sulla roccia salda del suo amore. 
Gesù si sofferma a dare uno sguardo sulla storia perenne del mondo, fatta di ostilità, guerre, inimicizie, e anche persecuzioni contro i cristiani. Gesù ci dice di non temere, quando anche dovesse capitare di essere osteggiati perché siamo suoi figli, non dobbiamo preoccuparci di cercare le parole per difenderci, di cercare cioè strategie umane di salvezza: lui ci darà “parola e sapienza”, tanto che chi ci è contro non potrà fare nulla. Siamo nelle sue mani. Questo messaggio è di una straordinaria consolazione: siamo figli amati, non siamo gettati nel mondo a casaccio, dentro eventi casuali, siamo invece accompagnati e aiutati a trovare la rotta mentre viviamo i nostri giorni, fatti certamente di momenti lieti e di altri segnati da difficoltà e sofferenza. Ma ciò che conta è “perseverare”. Gesù conclude dicendo: “con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”. 
Tutto il quadro delineato in questo brano sembra proporci lo spettacolo della vita, questa navigazione sul mare instabile dell’esistenza, dove però se diamo il timone a Cristo possiamo stare saldi, aggrappati a lui, anche se il mare è in tempesta. 
L’affidamento a Maria, nell’aiutarci a metterci nelle mani di Dio, è una vera assicurazione sulla vita. Avendo una madre che conosce la nostra fragilità e incostanza, sperimentiamo il suo venirci incontro, il suo esserci madre, perché il suo compito è unicamente quello di raccoglierci sotto il suo manto e portarci al porto sicuro dell’amore del Padre. La presenza di Maria nella nostra vita è una realtà, e il pensare a lei, e il rimetterci a lei ogni giorno ci aiuteranno nel tempo a conoscerla e amarla sempre di più, e a sentirne la protezione. Anche lei ha attraversato tante tempeste nella sua vita, ed è stato il suo guardare fisso a Gesù a permetterle di restare salda fino alla fine. Guardando a lei ci rassicuriamo perché entriamo nella dimensione della fiducia che è la nostra perla preziosa, la perla dell’affidamento a lei, la forza spirituale capace di muovere le montagne e trasformare la nostra intera esistenza.

17 novembre 2019
Lc 21,5-19
XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

In quel tempo, 5mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: 6«Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
7Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». 8Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: «Sono io», e: «Il tempo è vicino». Non andate dietro a loro! 9Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
10Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, 11e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
12Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. 13Avrete allora occasione di dare testimonianza. 14Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; 15io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. 16Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; 17sarete odiati da tutti a causa del mio nome. 18Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 19Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.



sabato 2 novembre 2019

Guardati, vediamo


«Zaccheo fu guardato e allora vide»: in sintesi - come un distillato che scende direttamente nelle fibre dell’essere - sant’Agostino descrive la dinamica umana e spirituale che accade nel vangelo di questa domenica tra Gesù e Zaccheo. Esiste un punto di non ritorno nel cammino della vita, ed è l’incontro con Gesù, il Risorto. Un’ora, un istante, un giorno di grazia in cui lo Spirito irrompe e niente è più come prima. Un velo pesante cade dagli occhi e ci si sente come quando si fuoriesce dall’acqua del mare dopo avere fatto il primo tuffo della propria vita. Con quella strana sensazione di vedere le cose diversamente, sotto un’ottica nuova. Perché si è sperimentata l’immersione in un nuovo elemento. Solo che per la relazione con il Signore la potenza di questa rivelazione è enorme, ha un impatto tale da trasformare totalmente le persone, mettendole sottosopra e rivolandole da cima a fondo. Qualcosa di simile a un innamoramento, però all’ennesima potenza. Dio però normalmente non arriva di punto in bianco da una persona che non lo cerca né lo desidera. In genere lo Spirito prepara il terreno affinché il desiderio di incontrarlo possa favorire l’incontro stesso. È un lavoro silenzioso ma reale che lo Spirito fa dentro di noi, suggerendoci di aprire almeno un po’ la porta del cuore alla sua azione. Non parla con parole udibili, parla al cuore, come ispirazione, come intuizione e poi anche con parole più esplicite, attraverso la parola viva del vangelo. 

Se ascoltiamo con attenzione i verbi relativi a Zaccheo sentiamo che lui “cercava” di vedere Gesù, e perciò si mise a “correre” e, non riuscendo a vederlo, a causa della folla che premeva da tutte le parti, essendo anche di bassa statura, ebbe l’idea geniale di salire su un albero di Sicomoro. Sicuramente pensò che da lassù, nel momento in Gesù sarebbe passato, lo avrebbe potuto vedere. Ci commuove questa figura di Zaccheo, perché Zaccheo siamo noi tutti assetati di senso, di amore e di eternità, di salvezza e liberazione. La sua sete è la nostra sete. Sempre Agostino ci ricorda che la “vita è tutta un santo desiderio”, che sarà colmato pienamente in cielo. A noi interessa però questo: la ricerca di Gesù, quando è sincera, porta sempre all’incontro. Non è vero che Dio si tiene lontano da noi, che è irraggiungibile, è vero invece che sono le nostre difese, spesso alte come mura robuste, a impedirgli di rivelarsi. Zaccheo ha avuto un cuore semplice, capace di riconoscere il suo profondo bisogno di salvezza. Ed è accaduto il miracolo! 

«Zaccheo fu guardato e allora vide». È stato infatti Gesù stesso, mentre camminava, a scegliere di fermarsi esattamente al di sotto dell’albero di sicomoro, e da laggiù ha alzato gli occhi verso quello strano uomo arrampicato tra i rami. E chiamandolo per nome lo ha invitato a scendere, dicendo: “Oggi devo fermarmi a casa tua”. Zaccheo, non se lo fece dire due volte e subito scese e non stando nella pelle per la gioia gli aprì le porte della sua casa. E senza che Gesù gli avesse detto nulla, decise di restituire il denaro che aveva rubato riscuotendo tasse con un surplus aggiunto. Ora Zaccheo vedeva, vedeva la verità di sé e lo poteva fare perché si sentiva guardato da Dio, guardato con infinito amore. Questa è la salvezza, questa è la dinamica di liberazione dalle tante forme di schiavitù interiore che Gesù viene a spezzare anche ora per noi. «Oggi per questa casa è venuta la salvezza», io infatti sono venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto. 

Affidarci a Maria, che ha desiderato Dio più di ogni creatura, e che desidera che anche noi ci apriamo a lui allo stesso modo, è la via migliore per riscaldare il cuore e farsi toccare dai raggi della grazia. Massimiliano Kolbe, che a Maria ha voluto donarsi interamente, ha imparato da lei a desiderare senza limiti. Ha compreso che più ci si affida, più l’amore cresce, perciò ha potuto dire che ciò che conta è “essere sempre più dell’Immacolata, approfondire l’appartenenza a lei, e di conseguenza sciogliere sempre di più le ali dell’amore, soprattutto verso il cuore di Gesù e le manifestazioni del suo amore (SK 1284).
3 novembre 2019
Lc 19,1-10
XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
In quel tempo, Gesù 1 entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, 2quand'ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. 4Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. 5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». 6Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. 7Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». 8Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». 9Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch'egli è figlio di Abramo. 10Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

sabato 26 ottobre 2019

Fragili e felici


Abbi pietà di me! Nel vangelo di questa domenica, Gesù ci viene incontro con un’altra parabola, che è un genere di racconto che utilizza per chiarire, attraverso semplici esempi di vita, alcuni concetti che altrimenti sarebbero difficili da capire ed è anche un modo “aperto” di comunicare, lasciando a chi ascolta la libertà di accogliere o meno il messaggio. Gesù racconta questa storia per alcuni che avevano la presunzione di sentirsi a posto, i migliori, e disprezzavano gli altri. Ci sono due uomini, uno – il fariseo – in apparenza giusto, con le carte in regole per essere considerato un uomo onesto e di sani principi religiosi; l’altro – il pubblicano – che invece è considerato un poco di buono, un irregolare. Entrambi vengono colti in azione mentre vanno a pregare nel tempio. Il primo  fa una preghiera un po’ strana: ringrazia Dio perché è giusto, e perché non è come gli altri da lui definiti “ladri, ingiusti, adùlteri”. Il secondo invece non osava neppure alzare gli occhi e continuava  a battersi il petto ripetendo: “Dio, abbi pietà di me peccatore!”. Cosa accade dunque ai due? Il primo non è ascoltato da Dio, il secondo invece sì, è ascoltato e perdonato. Cos’ha da dirci tutto questo? 

Nella vita, in base alle esperienze che si fanno, si possono sviluppare alcuni atteggiamenti di fondo. Se una persona ha tanto sofferto, ha due possibilità: o inacidirsi e indurirsi fino a diventare cieca e a nutrire verso la vita odio e diffidenza, oppure umanizzarsi, diventando capace di compassione e di accoglienza. Disprezzare l’altro è una svalutazione che nasce da una ferita non curata: questa piaga fa paura e non si vuole entrarvi per vedere cosa c’è e come poterla guarire, e quindi per non essere toccati sul punto debole si ferisce in anticipo, e così ci si difende, evitando qualunque intrusione nel proprio dolore. Quando invece dal dolore impariamo a lasciarci trasformare il cuore come il chicco di grano che caduto in terra muore e morendo porta molto frutto, allora tutto cambia. E si percepisce un modo diverso di vedere, di sentire, e di conseguenza di comportarsi. Ci si occupa della propria interiorità e non si dà più la colpa agli altri. Non perché magari non si è davvero subito un torto, ma perché ormai si è capito che solo attraverso l’accoglienza incondizionata della nostra debolezza possiamo accedere alla verità di noi e degli altri. Siamo tutti fragili e impotenti! Tutti tutti? Sì! E soltanto nel momento in cui accogliamo l’amore di Dio, sperimentiamo che è stata propria l’umile richiesta di aiuto a salvarci, è stato proprio il vederci tanto deboli e bisognosi a farci tendere le mani verso il cielo. 

Il primo uomo, il fariseo, in fondo non sta pregando, perché non ascolta né parla con Dio, si sta solo parlando addosso! È chiuso in se stesso nell’illusione di potersi salvare da solo. Il secondo, il pubblicano, lui sta pregando: avverte il bisogno e si affida al Padre. Dio non ci ha mai chiesto di essere perfetti, questa è stata una deformazione tutta creata dagli uomini, Dio ci chiede solo di riconoscerci figli e come tutti i figli, di accogliere con gratitudine la dipendenza dai propri genitori. È proprio vero che quello che non si riconosce non può essere guarito! E se non è guarito, diventa ferita infetta che avvelena l’anima e lo sguardo e riduce delle persone destinate a una vita felice a dei miserabili, che vivono di disprezzo, di critiche, di pettegolezzi. E non sono capaci di gettare uno sguardo limpido su nessuna cosa creata! 

Chi si umilia sarà esaltato, afferma Gesù al termine del vangelo. Chi riconosce il proprio nulla, potrà accogliete il tutto di Dio. “Nulla è impossibile a Dio” è stata la frase che l’arcangelo Gabriele ha rivolto a Maria perché nella sua umiltà si è sentita tanto piccola e bisognosa, e così la grazia ha trovato il terreno adatto in cui entrare e far crescere il suoi germogli. “Abbi pietà di me Signore, abbi pietà di noi Gesù”, è questa la preghiera del cuore che possiamo fare nostra come tanta tradizione cristiana nei secoli, e così scoprire che tutti i mali ci vengono nel momento in cui neghiamo la nostra creaturalità, neghiamo le nostre parti difettose, e per non dover soffrire il cambiamento, disprezziamo noi stessi, non ci vogliamo bene, e passiamo a disprezzare anche gli altri. Ogni forma di disprezzo altrui parte da un disprezzo anzitutto verso se stessi, verso quelle parti di noi che, non accolte, riteniamo falsamente indegne di noi. Mentre hanno solo bisogno di essere orientate al Signore. Hanno solo bisogno di un cuore semplice come quello di Maria, che abbia il coraggio di aprirsi interamente e di lasciarsi trasformare dall’amore, per poter cantare le grandi opere che Dio è capace di fare in ciascuno.
27 ottobre 2019
Lc 18,9-14
XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo». 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». 14Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».


sabato 19 ottobre 2019

Sempre con te


Pregare sempre e non stancarsi mai. La perla preziosa di questo vangelo della domenica è la realtà della preghiera. Come si fa a pregare sempre? Cosa significa pregare? Facciamo il primo passo e cerchiamo di capire qual è la parabola che Gesù racconta e dove vuole arrivare comunicandocela. In una città viveva un giudice dalla linea dura, che applicava senza troppa pietà la legge e aveva poca attenzione alle persone. C’era anche una vedova, dunque una donna che all’epoca era povera e senza tutele sociali. Questa donna aveva preso ad andare dal giudice e a chiedergli che gli facesse giustizia contro il suo avversario, qualcuno che la stava opprimendo, causandole serie difficoltà. Altrimenti non sarebbe corsa dal giudice. Qual è la reazione del magistrato? I primi tempi la mandò via senza darle ascolto, poi a un certo punto, stanco di vedersi sempre tormentare dalle sue richieste, le concesse quanto chiedeva. 
Gesù a questo punto dice: il giudice alla fine le ha fatto giustizia, perché ha insistito, e Dio, che è vostro Padre, non farà forse giustizia ai suoi figli che lo pregano e attendono il suo aiuto? Vi dico che li aiuterà. Ma quando io vi verrò incontro – e sempre vengo ogni giorno - , troverò la fede in voi? Vi troverò in ascolto, alla ricerca del mio volto, della mia parola, della mia presenza? Quello che colpisce di questa vedova sono due cose: il fatto che le manchi qualcosa e il fatto che insistendo la ottiene. Questo qualcosa è Dio, il suo amore, verso il quale noi sempre tendiamo perché desideriamo l’unione piena, e l’insistenza che ottiene è la preghiera fatta con fede. Se la donna ottiene è perché ha fiducia nel fatto che il giudice le darà retta. Il tema della fede è perciò centrale, essenziale, è questa fiducia nel Signore che ci fa pregare, che non è tanto o solo vivere alcuni momenti specifici, quanto essere in uno stato di preghiera, essere cioè consapevoli che siamo in contatto con lui, mentre viviamo, mentre svolgiamo tutte le faccende ordinarie che la vita ci richiede, al lavoro, in casa, nelle relazioni con gli altri, con i familiari. Quello che ci dà vita e ci dà una carica interiore inesauribile è il saperci dentro questa appartenenza totale a Dio che è Padre e ci ama. Un Dio col quale possiamo dialogare sempre, chiedendogli spiegazioni quando non capiamo e aiuto quando non riusciamo, tessendo in questo modo una relazione fatta di amicizia, affidamento, confidenza. Allora il vangelo che ascoltiamo diventa vivo in noi, prende vita, ci dà vita, ne sentiamo la forza, ci sentiamo ascoltati e compresi dal Signore. E impariamo a camminare con lui, a intrecciarci con lui, a sentirlo vicino. In una dinamica costante che è un cercarlo e un farsi trovare. Cercarlo come la vedova che bussava alla porta del giudice e farsi trovare come la vedova che finalmente ottiene giustizia. 
Non possiamo non pensare a Maria, a quando a Cana ci ha mostrato una audacia nel chiedere che si pone a un livello diverso rispetto a questo della vedova. Lì, davanti a un’altra mancanza, Maria si volge a Gesù con una fede talmente piena e priva di alcun dubbio da poter dire ai servi “qualunque cosa vi dica, fatela”, ossia siate certi che una volta affidato a Gesù, questo vuoto sarà colmato. La fede va all’essenza, non cerca di scoprire i modi  e i tempi che Dio userà per esaudirci. Maria ci insegna perciò l’essenza della preghiera: l’intima certezza che ciò che è affidato, è salvato. L’affidamento a Maria che noi viviamo nelle pieghe del quotidiano ci fa intravedere ogni parola del Signore attraverso il cuore e l’esperienza della Madre, ci fa guardare i fatti che accadono come altrettante occasioni in cui con lei andare alla ricerca del volto di Gesù e del suo volere per noi.
20 ottobre 2019
Lc 18,1-8
XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

In quel tempo, 1 Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: «Fammi giustizia contro il mio avversario». 4Per un po' di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: «Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi»». 6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».


sabato 12 ottobre 2019

Fede è accorgersi di Lui


Alzati e va’, la tua fede ti ha salvato! È la frase finale di questo vangelo domenicale. E ne sentiamo tutta la forza di ripresa dalle tante nostre situazioni di abbattimento e di scoraggiamento. Ma come siamo arrivati a questa espressione di Gesù? Cos’è accaduto prima? A chi si sta rivolgendo il Signore? Fermiamoci un momento e lasciamo il corso dei pensieri che costantemente scorrono da una parte all’altra della nostra mente, facendoci talvolta fare dei viaggi un po’ tortuosi. E lasciamo che la nostra attenzione sia attirata da questa presenza forte e rassicurante di Gesù che ci viene incontro. 

Gesù si sta dirigendo con i suoi amici a Gerusalemme. Per Luca che narra, questo significa che Gesù sta andando verso la prova definitiva che lo condurrà alla croce. Strada facendo attraversa territori della Samaria e della Galilea. Ed è nel momento in cui entra in un paesino che gli vengono incontro dieci uomini. Sono lebbrosi, e si fermano a una certa distanza gridando: “Gesù maestro, abbi pietà di noi!”. Appena li vede Gesù li invita ad andare a presentarsi ai sacerdoti. A loro spettava infatti constatare la guarigione, fare delle preghiere e riammettere nella comunità chi ne era stato allontanato perché ammalato e infetto. I dieci senza dire alcuna parola si mettono subito in viaggio. E mentre camminano si rendono conto di essere stati guariti. Il loro corpo è liscio, senza ferite né piaghe. Uno di loro, non stando nei suoi panni per la gioia, torna indietro e si getta ai piedi di Gesù per ringraziarlo. 

È a lui che Gesù dice queste parole “Alzati e va’, la tua fede ti ha salvato!”. Prima però si chiede dove siano gli altri, che sono stati guariti insieme con lui. Hanno ricevuto un dono immenso, gratuito e immeritato e non sanno neppure dire grazie: danno tutto per scontato! Il lebbroso guarito che ritorna a ringraziare invece viene lodato perché ha avuto fede, ha saputo vedere oltre. Non ci basta essere sotto l’azione della grazia per sentirci figli amati, c’è un passo da fare, quello dell’affidamento, che è una scelta del cuore, intima e personale. È un sentire dentro l’anima che prima eravamo in un modo, ora siamo diversi, perché abbiamo incontrato il Signore. Prima eravamo a pezzi, ora siamo integri. Qualcuno ha lenito le ferite e asciugato le lacrime, Qualcuno ha accarezzato il nostro volto e ci ha presi in braccio, come bambini. E allora la vita diventa un continuo ringraziamento, perché eravamo piagati nell’intimo, feriti nei sentimenti, nelle speranze, umiliati da tante ingiustizie subìte e dalle conseguenze di errori compiuti. Il cristiano nasce nel momento in cui, in mezzo alle lacrime che offuscano la sua vista, intravede il volto del Salvatore, mite e tenero, che lo salva. Facendogli sperimentare la cosa più semplice e desiderata eppure tanto lontana dalle nostre capacità umane: l’amore vero. Il lebbroso non poteva credere tanta era la gioia di vedersi guarito! Saltava interiormente come il Battista quando incontro Gesù bambino. È quella euforia incredibile che prende quando abbiamo pianto tanto e alla fine il Signore è venuto! Ci ha salvato! È l’esultanza di Maria quando ha compreso che era diventata la madre del Salvatore, e ha intuito che la storia sarebbe cambiata, al posto della tristezza e delle tenebre, la gioia e la luce. 

Questa è l’esperienza di trasformazione che un vero itinerario di affidamento a Maria fa compiere! Non si tratta di fermarsi ai bei pensieri, alla buone intenzioni, ma di accogliere la potenza spirituale di questo gesto di donazione a lei. San Massimiliano kolbe ce lo conferma: “Trasforma te stesso. Ascolta la voce di Dio nel raccoglimento, in modo particolare durante la meditazione. Dio vuol darti di più di quel che tu vuoi prendere. Vinci te stesso. L'amor proprio è la sorgente di tutti i peccati. L'amore non tiene conto delle forze, crede nell'impossibile”.

13 ottobre 2019
Lc 17,11-19
XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
In quel tempo, 11lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!».


La Via della felicità