sabato 27 ottobre 2018

Un vero e proprio salto di qualità


Questo brano di guarigione precede l’ingresso a Gerusalemme, dove Gesù affronterà la prova della sua passione e morte. Marco vuole darci un messaggio molto forte con questo incontro unico e indimenticabile rimasto nella memoria affettiva dei cristiani di tutti i tempi, e anche nostra. 

Col suo solito stile sobrio e senza fronzoli, Marco affonda lo sguardo lì dove sguardo non c’è per mostrare fin dove arriva la potenza spirituale di Gesù, cosa può fare la sua vicinanza, l’affidarsi sul serio a lui. Bartimeo era cieco, mendicante, e in quel di Gerico trascorreva i suoi giorni al buio, senza poter dare forma al suo dolore, tenuto dentro l’anima come un fuoco distruttivo. Quante volte avrà sentito la vita scorrere intorno a lui e quante volte avrà desiderato la normalità, poter vedere il volto di chi gli stava accanto, poter costruire relazioni, amicizie, avere la possibilità di accorgersi di tutti quei piccoli e grandi dettagli che solo la vista sull’altro può offrire. 

Con quel morso di solitudine e dolore, nel sentire che stava passando accanto a lui niente meno che il famoso maestro guaritore, Bartimeo cominciò a gridare con tutta quanta l’energia aveva in petto e in gola. Dalle sue labbra inaridite era uscita quella preghiera tanto cara poi alla tradizione cristiana orientale - “Gesù abbi pietà di me!” - che riuscì a ottenergli la grazia sperata. I discepoli e quanti erano attorno a Gesù gli imposero di tacere, ma lui prese a gridare ancora di più. Fu questa sua ostinazione e determinazione a far sì che Gesù lo ascoltasse e si fermasse. “Chiamatelo!”. Una vocazione, una voce che differente dalle altre spacca quel muro di dolore e isolamento insopportabile e fa sentire Bartimeo vivo e rispettabile, non più invisibile, ma riconosciuto finalmente nella sua dignità. 

E qui avviene quella che è una della scene più belle mai raccontate nei Vangeli. Bartimeo getta via il mantello – che era la sua unica protezione –, balza in piedi come il ferro davanti alla calamita e corre verso Gesù. A questo punto Gesù inaspettatamente lo fulmina col suo amore, dicendogli: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. Bartimeo non se lo fa ripetere un’altra volta e risponde deciso che vuole vedere. E Gesù lo invita a tornare a vivere, perché la sua fede lo ha salvato. Quale la reazione di Bartimeo? Subito vede di nuovo e segue Gesù lungo la strada. Salvato e chiamato. Marco vuole farci capire che per entrare nel mistero di un Dio pronto a morire per noi (subito dopo Gesù entra a Gerusalemme) è necessario farsi mettere sottosopra da lui, lasciarsi trasformare dal suo spirito, dall’incontro concreto e reale con lui. Soltanto un’esperienza forte di Gesù può farci lasciare tutti i mantelli di questo mondo per ritrovare noi stessi in quello specchio senza macchie che è il vangelo. Che ci cambia, ci rende nuovi, ci fa vivere atteggiamenti e comportamenti completamente diversi dal mondo, perché non vengono dall’egoismo e dai condizionamenti culturali, ma dalla sorgente dello Spirito, che apre gli occhi del cuore e ci rende veramente umani. Capaci di compassione, di verità nella carità, di trascendenza. Di saper vivere e vedere oltre l’immediato. 

L’affidamento a Maria vissuto e interiorizzato è questo “addio al mantello” che ci fa fare un salto di qualità nella vita dello Spirito. Non si tratta più di mendicare senso e amore, ma di lasciarsi attrarre da Gesù, dal suo amore provato per noi. Maria come il cieco di Gerico ha saltellato nelle vie di Dio, e anche quando il passo si è fatto pesante per il peso del dolore, la sua fiducia l’ha fatta vivere in un ambiente di vita differente, stranamente e misteriosamente leggero, sereno, pacificante. Maria ci indica la via per affidarci. Affidarsi non è spontaneo, semmai spontaneo lo è difendersi. Affidarsi è la meta di chi ha prima sperimentato il suo niente, si è reso conto del suo niente, ha accolto il suo niente, e poi quando ha toccato il fondo, si è aperto a Gesù che passava. Sì, l’affidamento a Maria è un dono grande, come diceva Massimiliano Kolbe, il dono migliore, ed è possibile viverlo per tutti, perché Maria è madre di tutti. Proviamo, gettiamo via il mantello, saltiamo dove ci attira il cuore. Sarà lei a farci incontrare suo Figlio, come e quando vorrà.


28 ottobre 2018
XXX domenica del tempo Ordinario
Mc 10,46-52

In quel tempo Gesù e i suoi discepoli giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.


sabato 20 ottobre 2018

La piccola via della felicità


Farsi piccoli. C’è un segreto che i santi di tutti i tempi ci consegnano, al di là delle differenti vie che hanno percorso e dei diversi modi di esprimere l’unico amore di Dio: questo segreto è l’atteggiamento interiore dell’umiltà. Che li ha portati a non mettere al centro il proprio io con le sue esigenze di realizzazione, ma l’amore di Dio, con la sua spiazzante logica del dono. Se vuoi essere grande, dice Gesù in questo Vangelo domenicale, mettiti a disposizione del bene altrui, fatti buon samaritano, sii fratello di chi incontri, pensati come un figlio amato su cui tuo Padre conta per arrivare ai suoi figli, che aspettano una parola, un gesto, un’attenzione, una presenza amica. Sii segno di qualcun altro, riflesso della sua bontà. Questo consiglio e invito di Gesù, questa sua parola che ci obbliga – il Vangelo per noi cristiani è normativo! – ci porta a spostarci quotidianamente dal nostro spazio mentale per aprirci alla prospettiva di Dio. Come fare? 

Abbiamo un aiuto formidabile e oggettivo, infallibile e immutabile nella sua Parola di vita. Che ogni giorno viene a noi e ci svela, toglie cioè il velo dai nostri occhi e ci mostra il modo giusto per vedere le cose che viviamo. Sto soffrendo per i più svariati motivi? Dando tempo alla mia relazione con Gesù mentre leggo il Vangelo del giorno, sono reso capace di ascoltarlo, di intendermi con lui, che cerca e desidera incontrarmi per farmi fare un piccolo viaggio. Con lui andiamo fuori di noi, oltre le nostre visioni e possiamo scrutare modi nuovi di percepirci e considerare la realtà. In mezzo alle tempeste e alle variazioni del mondo, il punto fermo della nostra mente è la Parola di vita. Oggi siamo invitati da Gesù a farci esploratori della realtà. Non statici contemplativi del proprio piccolo mondo, ma uomini e donne che desiderano abbracciare prospettive altre e che non hanno paura di lasciare la presa e di abbandonarsi alle vie di Dio. Servire nel Vangelo vuol dire vivere nel modo più autentico. Significa pensarsi e viversi come persone che hanno uno scopo, un compito, che è quello di rendere l’altro migliore, aiutandolo a far emergere il meglio che ha dentro. Ma non lo si fa in modo spontaneo. Dobbiamo lasciarci lavorare dentro dal Vangelo, adattandoci alle sue indicazioni. Diversamente finiamo con l’illuderci. Perché se l’io non è costantemente e intenzionalmente orientato a Gesù, automaticamente tende ad altre polarità interiori, che spesso conducono ad atteggiamenti difensivi  e negativi. 

L’affidamento a  Maria ci porta a diventare lei, nel senso di fare nostri i suoi atteggiamenti interiori. Come si è definita Maria? Serva del Signore. Questo è il modo in cui si percepisce. Una figlia amata che desidera allinearsi col pensiero e col cuore del Padre. E che perciò diventa lei stessa serva dei fratelli. Questo Vangelo ci apre la strada della vera libertà. Una libertà possibile. Dimenticarsi per accogliersi in Dio, relativizzarsi per ricentrarsi in lui, e così diventare davvero quello che siamo chiamati ad essere. Ci incoraggia anche il giovane Massimiliano Kolbe quando nel ’18 scrive: “L’amore di Dio si manifesta non nel criticare gli altri, ma nell’impegnarsi per il loro miglioramento”.

Vangelo

Mc 10, 35-45

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».

Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».




sabato 13 ottobre 2018

Aprirsi o restare aggrappati?


Lasciarsi andare o possedere? Aprirsi o restare aggrappati? Osare oppure adagiarsi? Gesù in questo vangelo fissa lo sguardo su ognuno di noi e ci rinnova l’invito a fermarci e a dare tempo a questo sguardo così carico di vita, di senso, di futuro. E soprattutto di amore incondizionato. L’anima nostra è fluttuante, si sposta come l’acqua del mare, la sentiamo posarsi ora su una cosa ora sull’altra, in base agli stimoli che ci vengono da dentro e da fuori. La nostra attenzione interiore è captata da svariate fonti d’interesse. La vita stessa ce lo richiede. Eppure dentro questo avvicendarsi di elementi, sentiamo che c’è qualcosa di fermo, stabile come roccia, eterno. Sentirlo tuttavia non basta.

Occorre decifrarlo. Concedere quell’unico bene preziosissimo di cui siamo tanti avari: il tempo. Necessario per fare le debite distinzioni e percepire la differenza che c’è tra i nostri slanci e le nostre pulsioni e questa fonte di vita e di energia sempre fissa, sicura, caparbiamente se stessa. Il giovane ricco della scena si è preso il suo tempo per cercare risposta alla sete del cuore. Ai piedi del maestro implora quell’aiuto necessario a strapparlo dal senso di vuoto interiore che lo soffoca, mentre vive la sua vita ordinaria, fatta anche tra l’atro di molte comodità e privilegi. L’incontro già di per sé caratterizzato da forti emozioni e desiderii, raggiunge il culmine nell’incrocio di sguardi in cui avviene l’impossibile, l’inedito. La creatura tanto segnata da pesantezze e oscurità viene fatta entrare dentro un cono di luce e di calda accoglienza fino a gustare le vette dell’abbraccio amoroso del cuore. Un’esperienza mistica in cui spariscono le coordinate umane e si sperimenta l’ambiente divino, col suo carico di vita e di gioia.

Lasciarsi andare o restare saldati sul già noto? Il giovane è davanti a un abisso, quello della sua libertà. Non riesce a osare, non riesce a staccarsi da sé. Quell’insieme di idee, modi di pensarsi, abitudini, strutture mentali e culturali (l’importante è avere successo nella vita!), tutto questo materiale proprio diventa anche la sua personale prigione. La gabbia dalla quale l’uccellino del suo vero io non riesce ad uscire. Quel desiderio di vita lungamente cercato e che lo ha spinto fino ai piedi di Gesù non ha trovato nella sua libertà la porta aperta verso il futuro. Il giovane ricco ha fatto autogol! Esempio eloquente di come dunque possiamo essere i nemici di noi stessi! Perché allora l’affidamento a Maria è tanto importante? Cosa sarebbe accaduto se il giovane non si fosse fidato solo di se stesso ma avesse chiesto aiuto alla Madre? Se avesse in cuor suo detto: “Maria, aiutami, mi metto sotto la tua protezione”? È la stessa differenza che corre tra il chiedere il confronto con una persona saggia oppure rimanere con le proprie dubbiosità di fronte a qualche domanda importante che ci stiamo facendo. Il cammino della fede e della risposta a Dio richiede un accompagnamento, le comunità cristiane in tanto diventano grembo di fede in quanto crescono in questa dimensione, in cui nessuno è lasciato solo con le sue perplessità ma ognuno può contare sull’aiuto e la guida di chi è più avanti nel cammino. Maria non è una persona qualunque, è la Madre della grazia, che vive per noi, e a cui possiamo affidarci a partire da adesso.


+ Dal Vangelo secondo Marco 10,17-30
In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio». Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà». 


sabato 6 ottobre 2018

Verso la sorgente


Una corsa verso la sorgente, questo è il sottotitolo che potremmo dare al Vangelo di questa domenica. Un brano con tre scene: due dialoghi, uno con i farisei e l’altro coi discepoli, e un gesto forte, dal sapore evocativo e profetico, quello di prendere tra le braccia i bambini e benedirli. I farisei chiedono a Gesù se è permesso fare una cosa: il ripudio, diremmo noi oggi divorziare dalla propria moglie. Pongono una domanda che riguarda le scelte e i comportamenti. Gesù non si lascia invischiare in questa rete e afferma che il ripudio è stato reso necessario al tempo di Mosè per la durezza del loro cuore. Dare questo atto di ripudio era in qualche modo una forma di tutela per la donna che si sarebbe ritrovata sola ed esposta al pericolo. Poi Gesù apre davanti a loro il mistero del disegno di Dio: in principio quando Dio creò il mondo, l’idea armoniosa era che la coppia potesse vivere una unità totalizzante e gratificante dentro un abbraccio più grande, quello del Padre da cui tutto era scaturito. I discepoli in privato cercano di capire meglio il discorso, perché evidentemente sentono che questo balzo alle origini è una sfida grande alla mediocrità e superficialità con cui troppo spesso viene letto il rapporto uomo-donna. Gesù allora propone in maniera aperta la realtà definitiva del legame matrimoniale. Un legame che non può essere spezzato senza intaccare e ferire quell’armonia profonda – spirituale – nella quale era nato.
A questo punto vengono fuori i bambini e si sentono le voci dei discepoli che cercano di allontanarli. Un rabbi poteva avere a che fare solo con persone adulte, degne di poterlo ascoltare. Gesù si sottrae a questa mentalità e anzi ci tiene a mostrarli come i migliori esempi da imitare per accogliere il Regno. Il gesto tenerissimo con cui li abbraccia e li benedice è un’immersione nella dolcezza divina e ci fa gustare quasi sensibilmente il legame d’amore che il Signore vuole stabilire con ciascun uomo e ciascuna donna. È questa la sorgente che dà sapore e senso alle scelte della vita, è questo amore con la sua forza di trasformazione a costituire l’anima di ogni relazione, e a garantire che queste relazioni siano vissute nella verità, nella loro autenticità. 
Per capire il discorso di Gesù sul matrimonio non si può restare al livello orizzontale dei ragionamenti interessati, occorre entrare anche fisicamente nel mistero del suo amore e così capire con quale cuore stare nella vita. Maria, cui ci affidiamo ogni istante, ha scelto nella sua vita la parte migliore, l’essenziale, che è l’amore di Dio, e in questo mistero è entrata, con tutta la sua debolezza di creatura. Da questa sorgente ha attinto la vita necessaria per percorrere il suo cammino fino alla fine. Noi che ci affidiamo a lei impariamo a porci nel mistero dell’amore con la stessa disponibilità interiore, quell’apertura del cuore tipica dei bambini che è opposta alla durezza del cuore notata da Gesù a proposito dei farisei. Maria ci aiuta a compiere il gesto fondamentale e più necessario della vita, che decide di noi e del nostro avvenire: fidarci e affidarci.


7 ottobre 2018

XXVII domenica del tempo Ordinario
Mc 10,2-16

In quel tempo 2alcuni farisei si avvicinarono a Gesù e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. 3Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». 4Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». 5Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. 6Ma dall'inizio della creazione li fece maschio e femmina; 7per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie 8e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. 9Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto». 10A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. 11E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; 12e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio». 13Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. 14Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. 15In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». 16E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

La Via della felicità