lunedì 25 dicembre 2017

L’incanto di essere amati così

La gioia più grande può farsi strada ed esplodere nei cuori: Maria ha dato alla luce Gesù, il Salvatore del mondo (cf. Lc 2,1-14). Vangelo intenso e ricco di dettagli, profondo e allo stesso tempo concreto, ancorato alla storia, questa nostra storia tanto limitata eppure segnata da un nuovo inizio, da una stupefacente rivelazione. Dio è davvero entrato nelle pieghe della nostra umanità. Non apparenza, non semplice messinscena, ma il Verbo si è fatto carne, ha proprio assunto la nostra condizione mortale, tant’è vero che sulla croce sarà Lui a morire, a donare fino all’ultima stilla del suo sangue, Lui, il Dio fattosi Uomo. Un fantasma non può morire. Gesù è entrato nella storia e ha messo la sua tenda in mezzo a noi piangendo come un qualsiasi altro neonato, bisognoso di carezze e di latte materno.

Da un lato i potenti di questo mondo: Cesare Augusto, Quirinio. Dall’altro i semplici, Giuseppe e Maria, due giovani sconosciuti della periferia d’Israele. Mentre la storia e le nostre storie seguono un certo corso, c’è un’altra storia invisibile che si delinea al di sotto e che è quella tracciata da Dio nella quale siamo chiamati a entrare. Un sentiero santo sul quale camminare, tenendo lo sguardo fisso alla meta. Maria e Giuseppe erano già a Betlemme, dunque avevano un alloggio. Per i semiti l’ospitalità era sacra e non avrebbero mai lasciato i due all’aperto. Il posto che non c’era – a detta di diversi esegeti – fa piuttosto riferimento al fatto che la stanza in cui stavano era abitata anche da altri e quindi bisognava cercare un angolo più riservato in cui poter vivere il momento delicato del parto. È così che Maria e Giuseppe si ritirano nella parte interna, che spesso era una grotta scavata nella roccia.

Dio in Gesù ci viene incontro come un neonato per metterci di fronte alla rivelazione del suo vero volto. Non un Messia come lo aspettavano, potente e quindi che avrebbe eliminato tutti i mali e i peccatori e avrebbe instaurato un regno di pace, ma un Messia debole, venuto a condividere la nostra condizione di precarietà e di limite, venuto a mostrarci una modalità nuova di vivere, in cui ci si fida e ci si affida a un Dio che ci ama e ci conduce. Un Dio compagno di viaggio, che ci propone di farci modellare nell’intimo dal suo modo di pensare e di agire, e che ci fa partecipi della sua forza d’amore. Un potere che non acquistiamo da noi e non è diretto a dominare gli altri, ma un potere che Lui ci dà e che impariamo in un cammino di quotidiana conversione e trasformazione di affetti e pensieri.

Questo neonato davanti al quale ci poniamo oggi ci meraviglia! È lo stupore dei pastori. Che ci sembrano tanto simpatici e pittoreschi nella loro semplicità, ma che all’epoca erano disprezzati al pari dei pubblicani e degli altri impuri. E in effetti molti di loro, essendo malpagati, erano briganti, perfino omicidi. Dunque gli ultimi, a cui era vietato entrare nel Tempio. Perciò sono colti da stupore mentre si vedono avvolti di luce, cioè mentre fanno l’inaudita esperienza di sentirsi profondamente accolti e incondizionatamente amati. È questa la gioia che nasce dall’annuncio dell’angelo. Siamo amati così e questo amore ci salva e ci trasforma a immagine del Figlio di Dio. 

Ancora una volta anche noi ci sentiamo messi sottosopra dal nostro Dio che continua a venire in modi inaspettati, costringendoci ogni volta a cambiare qualcosa del nostro modo di vedere, di sentire, si percepire e percepirci. Davanti a questa mangiatoia l’incanto rinasce mentre intorno è notte. Sì, Maria con noi è intrisa di stupore e con lei Giuseppe e i pastori e l’intero cosmo. Gesù mi dichiara il suo amore, mi mostra il volto di un Dio innamorato, tende verso di me le sue manine, e in me nasce, per restare, per camminare al mio fianco, per parteciparmi la sua forza divina. Mentre intorno è notte. La luce si fa strada e vince ogni notte. Buon Natale ad ogni cuore!

sabato 16 dicembre 2017

Essere Parola

Sono voce: questo dice Giovanni Battista di se stesso nel Vangelo di questa domenica (cf. Gv 1,6ss). Si vede dal punto di vista della sua identità più profonda. Un figlio amato dal Padre celeste, che sa chi è e perché vive, e ha chiaro il compito affidatogli nella vita. Avere senso e direzione sono le cose più necessarie per ognuno di noi. Non è un caso che i giovani specialmente - ma non solo – si chiedano: ma io chi sono chiamato ad essere? Una domanda che preme, che urge dentro, che è impellente e che richiede lo sforzo di essere presa in seria considerazione, se non si vuole fallire il bersaglio. Il Battista si definisce “voce” e ci indica un criterio: per esser voce bisogna sapere cosa dire e quindi il Battista si presenta come un ascoltatore attento della voce di Dio. Come potrebbe se no parlare in nome di Dio, dire la Sua Parola? Farsi portavoce di un Altro? 

Allora per capire chi siamo e qual è il compito che ci riguarda nella vita, dobbiamo farci grandi ascoltatori della Parola di Dio. Non occorre una grande conoscenza, occorre la tenacia interiore – tipica di questo tempo di Avvento – che ci fa iniziare ogni giornata col piede giusto, ossia con l’ascolto del Vangelo. Non io per primo, ma Dio per primo. Un criterio facile facile, eppure troppe volte disatteso, incompreso  e sottovalutato. Ma il grande salto della fede e della vita, la grande svolta avviene qui, nell’ascolto fiducioso della sua Parola per noi, per me, per te. Ci si educa a questo, nulla è spontaneo nell’uomo, se non le funzioni più elementari. Il resto di ciò che è umano e ci umanizza va conquistato con l’esercizio, l’impegno, l’attenzione del cuore. Ci vuole profonda concentrazione per arrivare a leggere la Parola come assetati. Bisogna sentirla questa sete del cuore, questo bisogno di senso da dare alla giornata, alla vita, ai fatti che ci accadono. Il dialogo con Gesù accade nel raccoglimento, e per raccogliersi ci vuole lo sforzo di concentrarsi e restare in Lui, nella Parola. Il risultato di questo ascolto è l’incontro vivo con Dio, col Padre, con nostro Padre. E se c’è questo, c’è il coraggio un po’ folle di puntare tutto sulla Parola ascoltata. 

Quando Maria dice all’angelo "Avvenga", sta appunto dicendo a Dio di affrettare i tempi, di compiere ciò che vuole compiere. E così ci insegna a credere a ciò che ascoltiamo. Credere non vuol dire che miracolosamente aderiamo senza dubbi alla Parola, credere vuol dire scegliere di appoggiarsi a questa Parola e rischiare tutto su di essa. Maria, il Battista, i profeti, sono alcune delle figure tipiche dell’Avvento. Uomini e donne segnate da un'unica caratteristica: vivere la Parola, seguirla sine glossa, direbbe san Francesco, farla così come ci arriva, aprirci come bambini al dono del Padre, anche quando stiamo chiedendo qualcosa che stenta a concretizzarsi, soprattutto quando situazioni dolorose non si risolvono ancora. Questo è il momento di fare la Parola, come Maria, come il Battista, il momenti di non smuoversi dalla certezza – quella caparbietà tipica dei bambini, dei figli che si affidano – che alla fine sgorgheranno fiumi nel deserto… non per opera nostra, ma perché Dio lo farà per chi avrà creduto: “Io cambierò il deserto in un lago d’acqua, la terra arida in zona di sorgenti” (cf. Is 41ss). 

sabato 9 dicembre 2017

Preparare il cuore

«Viene colui che vi battezzerà in Spirito Santo». In questa seconda domenica di Avvento, il messaggio del Vangelo di Marco punta sui concetti forti della venuta e della preparazione (cf. Mc 1,1-8). Gesù viene. Perciò il Battista lo aspetta e aiuta anche gli altri ad aspettarlo nel modo più conveniente. Nessuno prepara qualcosa in vista di niente. Quando ci sono preparativi, è perché sta avvicinandosi qualcosa o qualcuno. In genere quando prepariamo un ambiente per accogliere qualcuno, siamo nell’atteggiamento di chi vuole dare, elargire. In questo caso invece accade una cosa nuova: sarà colui che verrà a donare e non una cosa tra le tante ma nientedimeno che lo Spirito Santo.

Allora noi ci prepariamo per ricevere, e questa stessa preparazione è stata avviata dallo stesso donatore. Giovanni Battista fu preparato dallo Spirito Santo. La sua esistenza ascetica, tutta protesa verso l’incontro con il Messia, fu la sua risposta a una forza che lo attraeva come aveva attratto in passato tanti altri profeti da Samuele in poi. Ecco allora che quest’intima attesa di Gesù che a Natale tornerà a donarsi a noi in modo nuovo, è già opera della grazia, che ci spinge in questa direzione. Sappiamo che verrà, crediamo che verrà, viene sempre, ma ogni volta in modo nuovo, vitale, a seconda della fase che stiamo vivendo.


Colpisce un altro aspetto: la povertà di Giovanni Battista, la sua assoluta sobrietà. Quasi a dirci che per aspettare e accogliere una nuova rivelazione di Dio bisogna che ci spogliamo di tante cose e restiamo fissi sull’essenziale. Se vogliamo Gesù, Gesù verrà. Questo vuol dire lasciar perdere tanti momenti di evasione e distrazione per imparare il raccoglimento, per stare nel silenzio, che è il luogo dell’incontro. Il silenzio è il linguaggio dell’amore e quindi Dio non può che rivelarsi nel silenzio. Maria come il Battista ha scelto la via dell’essenzialità. Gesù solo ha riempito i suoi occhi e la sua esistenza. Nessun’altra attrattiva l’ha afferrata. Anche adesso come madre nostra continua a fare altrettanto, ci aiuta a tenere lo sguardo fisso su di lui, ad ascoltare la sua Parola, attendere la Parola e la densità delle promesse che porta con sé. Maria non ha altro da trasmetterci che questo intenso desiderio di stare con la Parola: leggerla, lasciarsi leggere, lasciarsi raggiungere e permetterle di trasformare il nostro cuore e la nostra vita. 

Il Battista aveva scelto la via dell’umiltà e perciò in lui poté risuonare la voce di Dio. Povero di sé e ricco di amore, di verità. Maria, anche lei piccola, povera di sé, portò in grembo l’eterno. Per essere riempiti occorre farsi capaci, fare spazio, per farsi visitare occorre preparare il cuore all’incontro. Giovanni Battista e Maria di Nazaret ci mostrano il capovolgimento tipico della fede: ciò che è vuoto, è riempito fino all’orlo e più, ciò che è piccolo viene innalzato fino ai cieli, ciò che appare sterile, fiorirà tra breve. Un invito denso di consolazione per noi, per lasciare e trovare. Trovare cosa? Spazio, tempo, cuore per il silenzio, apparente fallimento di tutte le cose. Però per chi avrà pazientato, per chi avrà esercitato la tenacia interiore restando fedele alla preghiera e all'ascolto, spunterà un germoglio e sarà il miracolo tanto atteso, la grazia lungamente chiesta e per la quale non ci si è stancati di implorare. Dio fa crescere i suoi fiori più belli in mezzo alle rocce più aride. Chi ha orecchie, intenda.

domenica 26 novembre 2017

Giudicati sull'amore

Giudicati sull’amore. È questo il messaggio semplice e sconvolgente che Gesù ci consegna in questa domenica in cui si conclude l’anno liturgico prima dell’Avvento. È la solennità di Gesù Re dell’universo, che ci fa riflettere sull’essenziale della vita e della storia. Il fatto cioè che tutto dipenda da Dio e trovi in Lui il suo significato e la sua verità. Quando chiudiamo una fase della vita ed entriamo in una nuova, facciamo un po’ di bilanci, così come quando siamo alla conclusione di altri tipi di esperienze. Nella vita spirituale questa rilettura è un bisogno quotidiano, anzi costante. Non c’è giorno nel quale non sentiamo l’intima esigenza di fare sintesi: allora, come sta andando la mia giornata? Cosa sto vivendo e come lo sto vivendo? Qual è il tracciato che sto seguendo? Come mi sento dentro l’itinerario di Dio? Discernimento che si svolge nelle pieghe del nostro vivere, a volte più lineare, altre più oscuro, faticoso, e però se vissuto come si deve, cioè sotto lo sguardo di Dio, insieme con Lui, sempre fecondo. Un esercizio quotidiano che se richiede la nostra applicazione, tuttavia rigenera e dà senso a tutto il resto, dunque diventa una sorgente di benessere. Per fare questo esercizio di rilettura Gesù ci lascia un criterio sempre valido, quello dell’amore. Essere giudicati sull’amore, sulla tenerezza e la prossimità esercitati nei confronti degli altri dovrebbe essere un ulteriore motivo per amare ancora di più la nostra identità di figli. Cosa ci sta chiedendo di così difficile Dio quando ci chiede semplicemente di amare?

Eppure vediamo in noi e intorno a noi tanta fatica ad entrare in questa logica, in apparenza semplice e bella, dunque amabile e desiderabile. Forse una risposta la troviamo nella Prima lettura. Quando Dio dice che sarà Lui stesso ad andare in cerca del figlio perduto, a curarlo, fasciare le sue ferite, lenire le sue lacrime. Se non ci siamo mai sentiti figli, se non ci siamo aperti a Lui perché si prendesse cura di noi, se non abbiamo spalancato la nostra anima alla sua misericordia, allora rischiamo di avere di Lui un’immagine distorta. Non avendone fatto esperienza, lo consideriamo responsabile dei nostri mali. Non ci fidiamo e dunque non amiamo.

Maria, modello del credente, ci sta davanti proprio come esempio della persona che si è fidata e affidata. Ha riconosciuto la propria piccolezza, il bisogno di Dio e si è affidata a Lui, si è messa totalmente nelle sue mani. Si è lasciata curare, amare, riempire della sua tenerezza. E così ha trovato la motivazione più vera per fare altrettanto. Affidarci a lei ci fa entrare in questa dinamica di felice dipendenza da Dio. Ci fa sperimentare la gioia di essere curati e leniti nelle nostre piccole o grandi piaghe interiori, ci fa assaporare nel silenzio di un intimo colloquio la verità del suo amore, ci pone dei segnali sul cammino perché non ci perdiamo. Così questa fiducia e questo amore ricevuti si esprimono in gesti concreti di accoglienza dell’altro, così com’è e come si sente. E nella misura in cui porteremo con noi la memoria viva della misericordia ricevuta, imprimeremo nei nostri gesti più amore, più attenzione e più vicinanza. Sarà lo Spirito stesso a farlo in noi. Sì, c’è tanta misericordia da donare, ne siamo consapevoli, ma c’è prima tanta misericordia da riconoscere e da accogliere. Se non ho fatto l’esperienza di sentirmi debole pecorella malandata che viene raggiunta dall’amore e salvata, difficilmente sarò in grado di andare oltre me stesso e accorgermi di chi mi passa accanto.


sabato 11 novembre 2017

Attesa dello sposo

Ecco lo sposo. È questo grido che si sente all’improvviso nella notte buia a illuminare con intensità questa pagina di Vangelo domenicale (cf. Mt 25,1-13). Gesù per parlare del suo amore, del Regno che è il suo amore, la sua vita donata a noi, usa questa singolare parabola che ha per protagoniste dieci vergini in attesa dello sposo. Le vergini erano compagne della sposa che fungevano un po’ come damigelle col compito di andare incontro allo sposo, il quale prendeva la sua fidanzata e insieme si recavano al banchetto di nozze. Accade però un fatto insolito: lo sposo accumula un ritardo tale che le ragazze, sfinite dal sonno, si addormentano. Ma all’improvviso si sente un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! All’udire questo grido, tutte le ragazze saltano su. Le cinque sagge che avevano preso dei vasi d’olio di riserva, accendono le lampade. Le altre, che Gesù definisce stolte, sono al buio e chiedono inutilmente alla compagne parte del loro olio. La risposta è negativa: se ne vogliono, che vadano a comprarlo! Mentre quelle vanno, arriva lo sposo che porta con sé le cinque vergini alle nozze, chiudendo la porta. Quando le altre arrivano si trovano davanti  la porta chiusa. Bussano chiedendo di entrare, ma lo sposo risponde dicendo di non conoscerle. L’invito è perciò quello di vigilare in attesa del Signore, per non perdere l’appuntamento con la grazia e con le grazie.

Tanti hanno scritto e riflettuto per capire cosa intendesse Gesù con quest’olio. Quello che sappiamo è che l’olio in questione è un combustibile per fare luce, per cui ci piace pensare che corrisponde, come direbbe papa Francesco, alla quantità di luce che abbiamo nell’anima, dunque non è possibile prestarla perché è una realtà personale. È la vita stessa della persona che o brucia d’amore per Dio e per gli altri oppure è spenta e inaridita. Nessuno può rispondere dell’altro e delle sue scelte. Nessuno può sostituirsi all’altro. Al momento della grazia, dell’arrivo dello sposo nelle nostre giornate, nei nostri attimi di vita, siamo proprio noi ad essere raggiunti, non l’altro accanto a noi o dietro di noi. Inutile voltarsi alla ricerca di un altro interessato.

Mi ami tu? È la parola che Gesù rivolge a Pietro guardandolo dritto negli occhi. Il lampo quando fende l’aria e la divide in due, non chiede il permesso. Ma il nostro cuore può essere morbido e pronto oppure rivolto altrove e poco interessato. Questione di familiarità. Se c’è stata amicizia, ascolto reciproco, dialogo, conoscenza e amore dato e ricevuto, allora si riconosce lo sposo e gli si va incontro senza indugio. Un atteggiamento, quello dell’attesa, tipicamente mariano. Da Maria impariamo quest’arte bella dell’attesa. Quando termina il suo dialogo con l’angelo ed è ora di dare la sua risposta alla proposta di Dio, non esita a dire il suo sì anzi l’espressione che usa (Avvenga!) è densissima ed esprime il suo desiderio ardente di andargli incontro e di unire la propria vita alla sua in una donazione senza misura. Maria non solo aveva tanto olio di riserva ma non era neppure addormentata: l’olio del suo amore la teneva sveglia e pronta a corrispondere.


Tutta la vita è un santo desiderio, ci ricorda sant’Agostino e ci fa capire che Dio ci incontra sempre, in modalità differenti, ma sempre e che sta a noi accoglierlo sempre più largamente, coltivando come Maria lo stupore dell’incontro con Lui. Verissimo! Se però questo desiderio resta vago e incerto si confonde con i bisogni e con tante altre spinte, se invece viene identificato e coltivato come desiderio di Dio, allora diventa un faro che illumina ogni istante e gli dà senso. 

sabato 4 novembre 2017

Un solo Padre, maestro e guida

Un Vangelo duro, forte e appassionato ci viene incontro in questa domenica (Mt 23,1-12). Ai suoi discepoli il Signore desidera dare indicazioni chiare per non deviare dal retto cammino, e vivere una spiritualità autentica e secondo il cuore di Dio. Perciò li mette in guardia da scribi e farisei perché per prima cosa dicono e non fanno. Si sono abituati a vivere una religiosità esteriore fatta di norme e di precetti, coi quali tra l’altro pensano di avere messo a tacere la coscienza credendosi a posto e dunque detentori di meriti da far valere davanti a Dio. Loro si sono persi dietro una giungla di regole e regolette e hanno fatto smarrire la strada anche a tutti gli altri. Guaio è che sono proprio loro ad avere la funzione di trasmettere la Parola di Dio e insegnare a viverla! Così - come ricorda la Prima Lettura - più che aiutare sono d’intralcio alla fede dei fratelli. Insomma si è creato, afferma Gesù, un circolo vizioso in cui il vero volto di Dio è tagliato fuori.

Gesù è sempre inesorabile quando si tratta di difendere la vera immagine del Padre dalle immagini distorte frutto di proiezioni umane. A Gesù preme che noi accogliamo il suo volto misericordioso, il suo cuore amante, il mistero del suo essere innamorato delle sue creature, come diceva a ragione santa Caterina. Un Dio che pur potendo creare l’universo con un soffio del suo alito, decide liberamente di ripercorrere la nostra fragile esistenza per farci recuperare il rapporto col Padre ormai spezzato. Qui sta il cuore del messaggio, nella relazione tra noi e il Padre. Se questa c’è ed è vissuta, non può che portare libertà e gioia. Quella libertà e quella gioia che non appartengono al fariseo di turno, troppo impegnato a farsi bello davanti agli uomini; una vanagloria che evidenzia un vuoto d’identità da colmare appunto con questa forma di compensazione che è il successo sociale. Il fariseo vive ripiegato su se stesso, difendendosi dall’incontro col vero Dio, che bussa alla porta del suo cuore e della sua vita.

Maria, a cui ci siamo affidati con fiducia, ci accompagna maternamente perché non allentiamo mai la relazione con nostro Padre, e ci abituiamo a pensarci sempre in Lui come figli, bisognosi delle sue carezze, del suo caldo riparo. Ci fa capire che abbiamo un solo Padre, quello celeste, un solo Maestro interiore, lo Spirito Santo, una sola Guida, Gesù. Sentendoci amati, siamo anche capaci di impegnarci in un cammino di fede e di crescita umana, che richiede comunque una forma di ascesi. Ma la motivazione è l’amore e non il dovere. Tutti quelli che si fanno strumenti dell’amore Trinitario sono mediatori, tutti noi siamo mediatori gli uni verso gli altri, e l’affidamento a Maria ci aiuta con una grazia reale ad essere sempre più specchi limpidi in cui l’altro può ritrovare il suo vero volto di figlio amato. Maria ci tiene uniti all’amore di Dio e ci rende capaci di trasmetterlo.


sabato 28 ottobre 2017

Tutto di te

Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore (cf. Mt 22,34-40). In questa domenica Gesù viene nuovamente interrogato e messo alla prova, questa volta dai farisei, i fedeli osservanti della Torah, la Legge. La domanda riguarda il grande comandamento. Chiedono a Gesù, che aveva ormai la fama del maestro ispirato, quale esso sia. Gesù risponde aprendo la Sacra Scrittura, citando in questo caso il Deuteronomio, con una leggera variante. Dice infatti: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. E aggiunge: “Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso”.

Due sottolineature. La prima: la totalità d’amore che Gesù richiede. L’amore per Dio se è tale non può che essere radicale, coinvolgere tutto l’uomo nel suo essere e operare. Non può esserci una divisione a compartimenti stagni, non esiste la separazione tra sacro e profano, non ci sono zone della nostra vita in cui Dio non può entrare. L’amore per Dio quando è autentico per sua essenza è pervasivo, penetra ovunque, impregna ogni atomo del nostro essere e crea in noi un dinamismo di donazione, ci cambia da dentro. Perciò si estende poi anche alle relazioni col prossimo. Se l’amore è autentico non può sopportare di amare Dio e odiare il prossimo. Perché l’amore dell’uomo è una partecipazione all’amore di Dio, dal quale l’uomo lo riceve come da una sorgente. Se lo accoglie in modo trasparente, non potrà non riversarlo sugli altri. Allora comprendiamo cosa stia a cuore a Gesù: che accogliamo il suo amore, che gli apriamo il cuore, che ci rendiamo disponibili alla sua azione. Sarà poi il suo amore a lavorare in noi e attraverso di noi.

Dio è amore, dichiara san Giovanni nella sua sorprendente Lettera. Cioè Dio per natura, per essenza esce da se stesso e si fa dono, è una necessità sua interna, proprio come il sole non può fare a meno di riscaldare le superfici sulle quali si posa. Non ha barriere, come quelle invece che l’uomo costruisce attorno al suo cuore per difendersi dalla vita. Allora capiamo quanto sia distante lo spirito di Gesù dalla lettera dei farisei, che per essere sicuri di potersi meritare questo amore seguivano 613 precetti, che erano le modalità pratiche e quotidiane in cui avevano tradotto le Dieci parole che Dio aveva dato al suo popolo sul Sinai. In quel modo si mettevano la coscienza a posto, mentre dentro non permettevano all’amore di cambiarli. Gesù non nega l’importanza della legge, delle norme, che servono per regolare e gestire le forze vitali, darle loro una forma. Non vuole però che ci si limiti a questo, senza metterci il cuore, senza coinvolgersi in una relazione vera con Lui. L’amore – e ne facciamo esperienza anche noi - non è solo sentimento, spontaneità, ma richiede dedizione, sacrificio, impegno, richiede anche che si rispettino delle regole. Però non possono essere queste il fine, mentre sono solo mezzo, aiuto per vivere meglio il valore. Il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato.


In che cosa l’affidamento a Maria ci aiuta a vivere questa parola di Gesù? Sappiamo che affidarci nello spirito kolbiano significa vivere una relazione autentica con lei, sentirci figli amati, ricorrere al suo aiuto e alla sua protezione. Significa, in sintesi, amarla e lasciarsi amare, lasciarsi guidare non perché costretti ma perché ci si fida di lei. Significa prendere sul serio la parola di Dio e assecondala, adattarci alle sue esigenze, perché è l’amore che ci spinge, è l’amore che ci fa rispondere con altrettanta apertura all’immenso dono che Gesù fa di se stesso. Se dovessimo esprimere in poche frasi cosa sia il cristiano diremmo che è una persona che ama, ma di un amore a perdere, non possessivo, ma oblativo, aperto, che si dona, che espande il suo profumo e la sua vita perché ognuno sia felice. Questo è l’amore di Maria per noi, modellato su quello di Dio. Ci ama e vuole vederci felici, capaci di accogliere anche noi l’amore e viverlo fino in fondo. 

sabato 21 ottobre 2017

Spirituale a 360°

Rendete a Cesare e rendete a Dio…  (Mt 22,15-21). Il Vangelo di questa domenica ci raggiunge con una frase di Gesù diventata proverbiale. Cerchiamo di capire da dove nasce e cosa significa. I farisei in combutta con un altro gruppo, gli erodiani, sostenitori di Erode, cercano di far dire a Gesù qualcosa per cui accusarlo. Gli chiedono se è lecito o meno per un ebreo pagare la tassa ai Romani. Se Gesù rispondeva di sì, significava che era dalla parte degli occupatori, se diceva di no, significava che era un oppositore al regime e un rivoluzionario politico. E Gesù, che li chiama apertamente ipocriti, dimostrando di leggere nei loro pensieri, si fa dare una moneta utile per pagare la tassa e poi chiede a loro chi ci sia raffigurato sopra. Alla loro risposta “Cesare”, replica dicendo di rendere a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. Non sta al loro gioco, dunque, e prende la parola per esprimere un principio importante. Esiste una dimensione terrena organizzata secondo delle regole, dei ruoli, delle realtà che vanno vissute con impegno e responsabilità, ed esiste la dimensione verticale, fondamentale, essenziale della relazione con Dio che va vissuta con tutto il cuore e anch’essa con responsabilità. 

Tutto quello che è necessario fare sulla terra - lavoro, obblighi civili, adempimenti vari - va fatto con cura e attenzione, sapendo che si tratta di ambiti nei quali si esprime quello che poi si vive a livello interiore, nella relazione con Dio. La cura, la responsabilità verso l'esterno è la forma che assume l’amore, è il modo in cui  l’amore si concretizza. Nessuna scissione dunque per Gesù! Non c’è lo spirituale da una parte - come se fosse un campo immateriale e privato - e il materiale dall’altro, che dovrebbe andare per conto suo, non si sa come poi, dal momento che siamo noi stessi a imprimere nelle cose quello che viviamo dentro. Un messaggio sconvolgente per chi è sempre pronto a vedere quello che non funziona e che non quadra nello Stato e nella società, e non si chiede se per caso stia contribuendo o meno con la sua coerenza di vita.


Ci sembra di vedere nella discepola fedele di Cristo, e cioè sua madre Maria, la realizzazione di questo assunto. Mai Maria ha sognato una vita senza responsabilità o doveri, facile e comoda, ma ha accettato e si è resa disponibile nei confronti della realtà tale e quale le si è presentata. Ha assolto tutti i suoi obblighi e lo ha fatto con lo stesso amore con cui ha avvolto Gesù nelle fasce poco dopo la sua nascita. Prenderla per madre, viversi come figli, significa anche seguirne l’esempio, imparare a fissare l’attenzione sulle sue scelte decise e coerenti, mai di compromesso. Un fare che è in linea con l’essere, che poi è la meta verso cui ogni giorno siamo chiamati a orientarci, tenendo insieme le opposte tensioni tra ciò in cui crediamo e ciò che facciamo. 

Sì, dare alle realtà terrene il frutto della propria relazione con Dio significa avere capito che siamo un’unità e che se siamo coerenti con noi stessi e rispettosi di noi stessi, non possiamo non prenderci cura di questo mondo e di tutte le realtà terrene. Perché non possiamo amare Dio senza volerlo far entrare in qualunque realtà contattiamo nel nostro cammino. Un Vangelo responsabilizzante, austero, duro e bellissimo; pagine che ci fanno ammirare la dignità di Gesù, che ha impresso il suo sigillo d’amore anche nel più piccolo e insignificante gesto, anche nel prendere tra le mani la moneta del tributo.

sabato 14 ottobre 2017

Invito alla gioia

“Ho preparato il mio pranzo, venite alle nozze”. Questa domenica Gesù ci fa entrare nella dinamica d’amore e di chiamata di Dio attraverso il racconto-parabola del re e del banchetto di nozze (cf. Mt 22,1-14). C’è un re che organizza una festa grandiosa di nozze per il figlio e ci sono gli invitati a cui è rivolto l’invito. L’invito del re è davvero allettante: c’è cibo in abbondanza, vini pregiati e ogni tipo di ghiottoneria. Oltre a un ambiente accogliente e gratuito in cui trovarsi a proprio agio, felicemente nutriti e soddisfatti in tutte le necessità ed esigenze. Saremmo propensi tutti ad accettare un simile invito. Se, quando siamo fuori affamati, qualcuno ci invitasse nel migliore ristorante della città, andremmo a gambe levate.

Ma scopriamo invece che gli invitati rifiutano uno ad uno. Quello che colpisce è che ognuno ha qualcosa di “proprio” da difendere. Davanti a un re che invita alla “sua” festa, a entrare nella sua mentalità e nel suo mondo, si preferisce darsela a gambe e voltare le spalle, per tornare a chiudersi nel “proprio” mondo. Qui vediamo tutta una serie di resistenze interiori a volte dure come macigni dietro le quali l’uomo può arrivare a trincerarsi, difendendo coi denti un possesso che è rifiuto della relazione con Dio e con gli altri. Qui vediamo tracciata l’ombra nera dell’individualismo, della chiusura narcisistica di cui il Papa sta tanto parlando. Principale causa dei tanti no detti a Dio che chiama. Eppure, pensiamo noi, si tratta di un invito alla festa, si tratta di festeggiare, di felicità. È vero, però, che per assumere un abito nuovo, direbbe san Paolo, bisogna lasciare il vecchio. C’è una trasformazione del cuore da operare.

Perché la festa è sua e anche noi per festeggiare dobbiamo gustare le sue stesse gioie. Avere il suo palato, il palato del re. Nella Bibbia si parla tanto degli idoli preferiti all’unico Dio vivente: ma l’idolo più insidioso non è una cosa, è l’io stesso dell’uomo, il suo ego non convertito. È come quando preferiamo credere di più a quello che pensiamo noi piuttosto che a quello che ci suggerisce la Parola. L’affidamento a Maria, puntando sulla fiducia, che è credere prima di tutto e molto di più a Dio che a qualunque altra cosa, influisce sul nostro spirito in maniera molto costruttiva, facendoci gradualmente maturare e permettendoci di lasciare pian piano la presa dalla nostre certezze-gabbie per sperimentare un’aria buona, libera, di festa, in cui nella ritrovata relazione con Dio e con lei recuperiamo anche noi stessi e il nostro vero sé.

sabato 7 ottobre 2017

Vigna amata

La pietra scartata diventa pietra d’angolo, ovvero laddove l’uomo cerca di imporre la sua logica di potere, Dio ricrea cose nuove proprio a partire da ciò che è stato rifiutato e negato. Gesù, nel Vangelo di questa domenica (Mt 21,33-43), affronta i capi religiosi schierati contro di lui, in un momento cruciale perché si è ormai vicini alla sua passione. E li affronta raccontando loro una parabola, nella speranza che la sua parola possa scalfire la durezza del loro atteggiamento.

Una parabola forte, drammatica, che scuote e interpella. Gesù racconta di un uomo che possedeva una vigna. E il pensiero corre subito al popolo d’Israele, rappresentato appunto nella Bibbia come la vigna amata dal suo padrone, Dio. A questa vigna il padrone dedica ogni cura e attenzione, circondandola di una siepe, fornendola di un torchio per fare il vino, costruendovi una torre. Poi la dà in affitto a dei contadini perché la lavorino e la facciano fruttificare. A suo tempo ritornerà a chiedere i frutti. Quando arriva il momento, manda alcuni servi, e inaspettatamente questi vengono malmenati, rifiutati e alcuni anche uccisi. La scena si ripete al secondo invio. Infine decide di mandare suo figlio, avendo fiducia nel fatto che avranno rispetto visto il suo legame col proprietario. Ma i servi si incattiviscono ancora di più, lo portano fuori della vigna e lo uccidono (così come Gesù, che sarà ucciso fuori della città, pena destinata ai bestemmiatori).

Interessante il fatto che Gesù stia tratteggiando il loro ritratto, mentre loro, che pure stanno ascoltando, non si lasciano neppure sfiorare dal pensiero di poter essere i protagonisti. Ironia vuole che Gesù gli chieda un parere sulla storia e in particolare cosa farebbero loro a dei servi simili. La loro risposta è sconvolgente: li uccideremmo! Cioè come a dire, noi siamo degni di morte. Segno della contraddizione nella quale l’uomo cade quando chiude la mente alla verità e si incaponisce nella sua autosufficienza. Quando non gioisce di avere un Dio che è Padre e al quale è legato da un vincolo d’amore e di fiducia.

Il commento di Gesù porta molto lontano. Gesù parla di una pietra scartata che diventa la perla preziosa dell’edificio, la pietra d’angolo. Questo perché si trova  a un altro livello, che non è quello dei capi religiosi. La loro immagine di Dio è di un Dio punitore. Gesù, accettando il cammino dell’umiliazione e della morte per amore, contraddice questa visione  e mostra invece il volto di un Dio misericordioso e innamorato delle sue creature, tanto da scegliere la follia della croce.

Questa via è stata anche quella di Maria. Se Gesù era Dio e perciò ci risulta più comprensibile la sua capacità di arrivare a una simile donazione, non lo stesso nei confronti di Maria. Maria era solo una creatura, di fede israelita e quindi con una adorazione vitale per il Padre e la sua volontà. Ma da qui a percorrere lo stesso cammino rivoluzionario di Gesù, fatto di dolore e di riscatto, ce ne voleva. E Maria in questa sua fortezza è stata davvero insuperabile. Ha piegato il capo alla vita e ha obbedito con tutte le forze a quanto gli eventi stessi andavano delineando per lei. Maria ha compreso che lo scarto del mondo è prezioso agli occhi del Padre, che sono fissi su chi lo teme, come dice il Salmo, su chi spera solo in lui. E lo ha compreso non sui libri, ma nell’esperienza cocente della sua vita dietro al figlio. Solo l’amore le ha permesso di percorrere la stessa via di Gesù. Solo l’amore le ha acceso negli occhi la certezza che al di là della morte sarebbero germogliare nuove vigne e nuovi frutti. Solo l’amore le ha fatto comprendere che la vite vera non può essere tagliata perché è essa stessa a garantire la vita a ogni tralcio.  


sabato 30 settembre 2017

Il sì del cuore

Si pentì e vi andò. In questo movimento esistenziale di ritorno a se stessi sta il messaggio centrale del Vangelo di questa domenica (cf. Mt 21,28-32). Gesù racconta un’importante parabola che ha per protagonisti un padre e due figli. C’è un campo di lavoro – la vigna – e c’è la richiesta del padre perché vadano a lavorarla. Il primo figlio a cui si rivolge non ne vuole sapere, risponde come pensa e se ne lava le mani. Il secondo invece ha la risposta pronta, sembra non aspettare altro e fa una gran bella figura davanti al padre. Peccato però che le parole – per entrambi – si riveleranno diverse dalle azioni. C’è una incongruenza notevole tanto che quello che ha detto no, alla fine va, mentre l’altro che ha detto di sì, alla fine non va. Una parabola intrecciata che richiede un po’ di tempo per essere assimilata. Perché la prima impressione è che non si sa chi si ha davanti. Chi è il figlio coerente e chi no lo è. 

Entrando nel testo, però, ci rendiamo conto di capire bene il discorso di Gesù. Finché non c’è un vero cambiamento del cuore e della persona tutta intera, non c’è capacità di vivere come figli, di essere cioè familiari di Dio, di essere persone credenti. Gesù e il Vangelo devono penetrare nelle ossa, nelle viscere, devono entrare dappertutto e dare nuova forma al nostro spirito, a partire dal cambio di mentalità. Il primo figlio ci ricorda tanti ragazzi che vediamo nelle nostre famiglie ma anche tanti adulti. Di Gesù e di Chiesa non ne vogliono sapere, fanno muro, s difendono dai discorsi religiosi, tagliano corto quando qualcuno vuole fargli una proposta di fede. L’apparenza sembra dire che sono lontani, ma in verità dovunque si trovano saranno sempre e comunque in Dio, che lo sappiano o meno, che ne siano coscienti o no. Paolo Ricca ha detto che Dio è Dio dell’uomo prima ancora di essere Dio del cristiano. In effetti al di là di quello che possiamo suscitare noi con la nostra mediazione, lo Spirito del Signore che è appunto Signore di ogni cuore sarà sempre più informato di noi circa lo stato interiore delle persone. La partita si gioca tra il cuore umano e Dio, è quella la tensione viva che ogni giorno anima dal di dentro la vita di ogni persona. 

Allora ciò che conta è che nel cammino della vita a un certo punto accada la presa di coscienza: si pentì e andò. Penso che sia questa dinamica uno dei frutti più belli dell’affidamento a Maria, perché quando mettiamo con fiducia la nostra vita nelle sue mani, lei, in quanto vera Madre della grazia, ci aiuta a farci modellare dallo Spirito e favorisce la sua azione in noi. La sua opera materna è dispositiva, ci prepara cioè a ricevere il dono, lo Spirito Santo che Gesù ha promesso di dare “sempre” e in modo “certo” a chiunque glielo domanda nella preghiera. Maria ci aiuta a pentirci, convertirci e andare, là dove il Signore ci precede per nuove chiamate e nuovi approdi.

sabato 16 settembre 2017

Dove nasce la compassione

Ne ebbe compassione e gli perdonò tutto (cf. Mt 18,21-35). Le parole di Gesù questa domenica vanno molto in profondità e lasciano il segno sul modo di sentire di Dio dentro la nostra fragile carne. Questo segno è l’amore sofferente, non un amore qualunque, ma l’amore appunto “sofferente” di Dio per noi. È stato questo amore che ha bruciato e trasformato il male come un fuoco. Questo significa che l’amore soltanto è l’energia vitale, la forza spirituale capace di creare e ricreare vita dove è stata negata, calpestata, dimenticata, ferita. E la scelta del perdono nasce da questo sguardo diverso posato sulle cose e sulle situazioni umane. Uno sguardo che non parte da ciò che possiamo pensare o sentire noi, umanamente soltanto, ma che viene dalle profondità del cuore, quando il cuore si è lasciato lavorare e “triturare” dalla vita. Non potremo mai cogliere il senso di questa compassione divina verso le nostre infermità se non a partire dall’esperienza che noi per primi ne possiamo fare, se lo vogliamo. Tutto dipende dal nostro modo di stare nell’esistenza. Se ci siamo in Dio, allora siamo disposti a lasciare che Lui - attraverso la vita e il suo linguaggio concreto - ci cambi, ci trasformi, ci modelli. In questo senso allora ci sentiamo in cammino.

E in questo percorso di crescita intenso e doloroso, Maria ci accompagna sia come Madre che come guida. Come guida ci consiglia, senza però mai prendere il nostro posto, senza sostituirsi alla nostra libertà. Come Madre intercede per noi, ci abbraccia, ci aiuta, ci ottiene grazie e benedizioni. Inoltre ci fa da modello, da specchio. Anche lei ha imparato da Dio – riflesso nel volto di suo Figlio – la compassione. L’ha imparata in particolare sul Calvario, quando il suo cuore è stato annientato dal peso del male e tuttavia è rimasto aperto, totalmente rivolto alla luce del Padre. Impossibile con il ragionamento entrare nel senso della vera compassione. Soltanto la via dolorosa ne dischiude i segreti. C’è un punto ultimo – prima del più assoluto silenzio – in cui il dolore è tanto radicale da generare uno stato di sospensione di tutte le cose in cui solo Dio – sempre presente – garantisce la vita.

Quel punto limite Maria lo ha sperimentato e ne è miracolosamente uscita per grazia, ritrovandosi poi accanto al suo Figlio Risorto e inviata a rafforzare con la sua presenza materna la Chiesa degli inizi. Lo sguardo che Maria, uscendo dal Cenacolo, deve avere posato sulle miserie umane è stato certamente uno sguardo così carico di compassione, così vero nella sua capacità di sentire l’altro e il suo dolore, così vero anche nella sua segreta forza di sperare l’impossibile di Dio…

Non ci stupiamo del fatto che - come l’uomo ingrato della parabola di questa domenica - molte persone non riescano a perdonare: il perdono non è una cosa che si fa, nasce solo dove c’è un terreno ormai morbido e ben rivoltato e perciò capace di accogliere qualunque seme la vita gli getti senza troppe pretese. Il perdono è quello sperimentato da Gesù e da Maria sul Calvario quando il loro cuore spezzato si è misteriosamente aperto lasciando scorrere fiumi di misericordia sulle miserie della nostra fragile umanità.  

sabato 9 settembre 2017

Accordati col suo cuore

Mettersi d’accordo. Questo il cuore del Vangelo della domenica (cf. Mt 18,15-20). Gesù getta il suo sguardo ampio e penetrante sui conflitti che segnano le relazioni tra persone e individua una modalità per venirsi incontro e verificare il senso delle tensioni che si vivono. Per mettersi d’accordo infatti due o più persone devono per prima cosa trovare il coraggio di prendere le distanze dai loro stati emotivi e scegliere di guardarsi negli occhi, di parlarsi con lo scopo di verificare quello che è accaduto e come è stato vissuto dalle parti in causa. Il messaggio cristiano, tacciato talvolta di buonismo, è invece tutto l’opposto: è esigente e richiede una buona dose di coraggio, il coraggio che soltanto l’amore-carità può suscitare. Dietro l’impegno di cui parla Gesù, che è quello di cercare l’altro – anche se ha sbagliato verso di noi – per portare alla luce le vere motivazioni e perciò individuare vie di riconciliazione, dietro questo sforzo, questo uscire da noi stessi c’è infatti la spinta interiore dell’amore. Quel Dio che ci ha cambiato il cuore e che costantemente ce lo cambia, affinandolo e rendendolo sempre più simile alla sua sensibilità, Lui è la sorgente segreta di questi gesti tanto straordinari quanto semplici, piccoli. Soltanto l’amore – di Dio – ha forza creatrice. Perché non è un amore che vive di gratificazioni ma è un amore sofferente, che nella sofferenza genera novità e fa nascere scintille di perdono dove c’è freddezza e ostilità. Mettersi d’accordo allora non è umanamente possibile, pur sembrando ad alcuni così. L’accordo infatti è quello generato dallo Spirito Santo, accolto e lasciato libero di abbassare gli egoismi e le durezze e creare la comprensione e l’accoglienza.


Maria che non ha mai conosciuto un attimo di disarmonia nei confronti del cuore del Padre, ha sempre lavorato – con la preghiera, l’offerta, l’amore – a favore della pace. A Pentecoste la sua presenza tra i discepoli dice questo suo darsi da fare concreto e fattivo – mettendoci del suo, non a parole – affinché quell’amore portato da Gesù, quella fiducia nelle vie di Dio e quella speranza di vita potessero continuare a dimorare nei loro animi. Maria ci mostra quanto è importante verificarci su questa maturità di fede. Se davvero Dio ci ha cambiato il cuore, ci sentiamo una missione su questa terra – direbbe il Papa -  ossia sappiamo e sentiamo che dobbiamo fare il possibile per far emergere il positivo da qualunque situazione, fosse anche la più nera, e perciò lasciamo ogni giudizio a Dio e lavoriamo instancabilmente per permettere a ognuno di venir fuori con la sua parte migliore. 

La capacità di donazione di Maria in questo senso supera ogni nostra considerazione. Il suo cuore di Madre era sempre a preoccuparsi per i suoi figli perché in loro vincesse Gesù e venisse allontanata ogni suggestione maligna. Questo anche è stato un martirio del cuore per Maria, dopo quello patito per suo Figlio. A lei ci rivolgiamo per contemplare le profondità di queste parole di Gesù, per capire che le cose semplici, come il mettersi d’accordo, sono in realtà tante volte scelte eroiche che solo l’amore rende possibili ed efficaci. Maria nell’intimo del colloquio con lei e negli eventi con cui ci parla, ci insegnerà come viverlo. 

sabato 2 settembre 2017

Pensa come Dio

«Non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini» (cf. Mt 16,21-27). Come pensa Dio? Come gli uomini? Il sasso su cui Pietro inciampa è il dolore. La paura di entrare in un tunnel di sofferenza e fortissimi traumi psicologici e spirituali lo blocca. E lo spinge a rimproverare il Signore. L’uomo cerca di zittire la vita quando questa gli viene incontro con lo sguardo torvo della sofferenza. Come non comprendere questa che è l’esperienza basica di ogni essere umano? Gesù stesso ha avuto paura, angoscia, però ha anche accolto totalmente il dolore senza opporvi resistenza. Non ha costruito barriere, ha avuto la forza di farsene attraversare, vi si è immerso – nella sofferenza – come nelle acque di un battesimo misterioso.

L’uomo preso così com’è cerca il benessere, evitando accuratamente ogni intrusione da parte del dolore. E così si indebolisce, perché nega la realtà e accumula paure. Il credente cerca di donare se stesso e il bene che ha ricevuto da Dio e così non cerca le vie più comode, ma semplicemente vive, accetta la realtà per quella che è e lì agisce, lavora, si muove, all’interno di un intreccio complesso di relazioni e di vicende non sempre facili in cui per sbrogliare la matassa c’è da soffrire tanto, da portare pesi non propri e da amare senza misura. C’è da rimetterci, da pagare di persona. L’esperienza ci dice che più accogliamo il sacrificio, più il nostro cuore si dilata. Una regola che non è secondo il pensiero dell’uomo naturale, ma secondo il pensiero di Dio.

Tutto questo Maria lo ha vissuto in prima persona. Nessuno di noi avrebbe mai pensato che la vita avrebbe riservato a una creatura tanto pura e mite dei tagli così profondi. Non ha avuto alcuna possibilità di sentirsi seppur in maniera minima gratificata in un bisogno pur legittimo come quello di essere madre. Gesù era solo un neonato tra le sue braccia e già si conficca nel suo cuore una profezia oscura, che parla il linguaggio neppure tanto velato del dolore e della morte. Maria ha raccolto a ogni istante le gocce di grazia che le venivano dal Padre e ha fatto delle sue promesse e della sua fedeltà la sua forza e il suo appoggio. Lei ci aiuta a non avere paura del dolore e a viverlo in Gesù, che quel giorno disse con chiarezza e profonda accoglienza: “Devo andare a Gerusalemme, soffrire, venire ucciso e risorgere”.


Nessuna situazione ci spaventi, fosse anche la più cupa: c’è una risurrezione misteriosa che fa crescere i fiori più belli tra le pietre più aride. Solo per chi avrà attraversato il deserto, senza fuggire il dono di un Dio che è Padre e che proprio in quelle condizioni si fa presente con il suo amore indistruttibile. 

sabato 26 agosto 2017

Dono dall'alto

Chi sono io per te? Una domanda, questa di Gesù nel Vangelo della domenica (cf. Mt 16,30-20), che ci legge dentro, mettendoci di fronte a noi stessi, a quello che stiamo pensando, sentendo, sperimentando. Tendiamo ad allontanarci dal dialogo intimo e costante con Lui, non per scelta, ma perché le preoccupazioni della vita ci attirano e ci fanno entrare in contatto con altri sentimenti, che non di rado spingono verso la sfiducia. Siamo strutturati in questo modo: come equilibristi sul filo della vita. Se allentiamo il contatto con lo Spirito Santo, che vive in noi, non è che lo Spirito sparisca, perché noi viviamo in Lui, ma siamo noi che facciamo contatto con altre realtà, e quindi ne subiamo l’influenza.

Quando vediamo un bel tramonto e restiamo in silenzio, quasi spiazzati davanti all’evidenza di una potenza superiore, creatrice di tanta bellezza, noi vibriamo con la nostra parte più vera. Se invece siamo immersi in situazioni negative e apparentemente senza sbocco, pian piano ne siamo avvelenati e saturati. È per questo che Gesù ci stimola e ci raggiunge con la sua voce, con le sue domande. Chi sono per te? Sussurra al nostro cuore. Quasi a riprenderci quando forse siamo un po’ troppo influenzati da altro. E la nostra attenzione si volge nuovamente a Lui, e di nuovo la fiducia ci viene incontro e ci ricorda che soltanto di essa c’è bisogno per vivere. Fiducia in Gesù Signore della storia, che ha in mano ogni cosa, e con tenerezza la conduce, nonostante tutte le apparenze.

Lui garantisce: la Chiesa è mia, voi siete miei, tu mi appartieni. Se resti unito a me, sciolgo tutte le situazioni anche più aggrovigliate, se ti fidi e ti affidi. Nessuna potenza negativa potrà vincerti. È questa appartenenza concreta che Maria desidera per noi quando ci affidiamo a lei. Non per tranquillizzarci, per staccarci dalle difficoltà, ma per farci vivere ogni situazione della vita fondati sull’amore di suo Figlio Gesù. Ci doniamo a lei per essere suoi e così essere di Dio. Per guardarci e percepirci come figli. Quando Gesù dichiara beato Pietro, sta sottolineando una cosa davvero grande, alla quale non ci abitueremo e non dobbiamo abituarci mai: che la fede è un dono dall’alto ed è per fede che noi possiamo riconoscere Gesù e appartenere a Lui. Non viene dalla terra questo nostro sì, ma dal cielo. Questo significa che l’unica cosa necessaria, più necessaria dell’aria che respiriamo è la fiducia, fiducia rinnovata a ogni istante, contattata a ogni passo, cercata con ogni respiro dell’anima. Con la fiducia il cuore si apre e sente, capisce, crede, si affida. Con la fiducia il debole strumento che è la Chiesa diventa luogo di grazie straordinarie, in cui le vite cambiano, le persone si convertono, le situazioni più intricate si sciolgono.

Con la fede si spostano le montagne, l'impossibile diventa possibile, il piccolo si fa grande, chi è perduto viene ritrovato, chi è malato guarisce, chi è prigioniero è liberato, chi traballa torna a camminare in modo regolare. Questa potenza di Dio ci viene comunicata e a noi spetta darle credito, farla crescere, offrirle la parte maggiore di quello che siamo e che abbiamo, fino a lasciarle campo libero e così vivere in comunione, mai soli, sempre in dialogo con Dio, Padre che è nei cieli e che sempre rivela se stesso per chi lo vuole accogliere. 



sabato 19 agosto 2017

Fiducia che ottiene

«Donna, grande è la tua fede» (cf. Mt 15,21-28). Il Vangelo di questa domenica ci mostra la dinamica della fiducia e il misterioso potere che abbiamo sul cuore di Dio. Sì, perché davanti a un incontro come quello di Gesù e la cananea non possiamo non sentire dentro di noi un grido di esultanza perché il nostro Dio è Padre ed esaudisce le nostre preghiere. Le esaudisce, perché è Padre. Troppo spesso sentiamo dire: “Prega però non chiedergli quello che vuoi tu, ma quello che vuole Lui”. Vero. Però… sì c’è un però. Quando il cuore è al colmo della sopportazione e si sente l’impotenza davanti a situazioni che si vorrebbero diverse e che non si possono cambiare, quando si avverte l’impossibilità di intervenire, quando si sperimenta il limite… allora questo fiume di misericordia che salva è come una ventata di aria fresca in una giornata torrida. Certo che Gesù sa quello che è meglio per noi, ma saremmo ipocriti se pregassimo senza dolore, se chiedessimo senza osare domandare una grazia e crederci davvero. Il nostro Dio non ci ha insegnato a pregare in modo asettico, senza coinvolgerci, come se fosse lo stesso essere ascoltati o meno. Ci ha detto di bussare, perché ci avrebbe aperto. Di chiedere, perché ci avrebbe dato. Di osare, perché avrebbe accontentato la nostra richiesta. Talvolta si vuole ridurre l’onnipotenza di Dio e interpretare le parole dell’angelo: “Nulla è impossibile a Dio”.  Ma l’angelo ha proprio detto questo!

La donna cananea di oggi ci ricorda tanto Maria alle nozze di Cana. Lì Maria aveva rispettato la scelta di Gesù, aveva sentito bene la sua obiezione, eppure fece un salto in avanti e con un tuffo di fiducia osò dire ai servitori: “Fate quello che vi dirà”. E Gesù, quasi messo alle strette, fece il suo primo miracolo. Maria è andata oltre tutto quello che percepiva e si è comportata come si comporterebbe un bimbo, gettandosi nelle braccia del suo Papà. Come a dire: “Capisco che non posso ottenere tutto quello che mi sembra giusto, ma io ho bisogno di chiederlo, ho bisogno di essere autentica”.
Non riusciremo mai a sondare le profondità del grande mistero della preghiera. La preghiera può tutto. Apre strade dove strade non sembrano esserci. Non importa se si osa invertire l’ordine e invece di attendere il proprio turno, ci si fa accanto al banchetto preparato per altri. Quello che conta è raggiungere Gesù, e credere in Lui. Se uno ci crede, sarà sfamato, sia che mangi un piatto di carni pregiate sia che mangi un tozzo di pane.


Lucia di Fatima, un giorno, disse con trasporto: “Non c’è nulla, neppure il problema più grande, che non possa essere risolto con la preghiera del Rosario”. La preghiera è il nostro rivolgerci a Lui: “Signore aiutami!”. Come quel giorno la cananea, sentiremo Gesù che ci dice: “Avvenga per te come desideri”. Noi che ci siamo affidati a Maria siamo spronati da lei alla preghiera costante, a chiedere senza stancarci, ad avere nel cuore sempre pronta un’Ave Maria perché solo in questo modo, solo con un’ostinata audacia potremo vedere Dio all’opera laddove pareva impossibile. “Gli anelli che voi vedete spenti, senza raggi, sono le grazie che non mi chiedete” disse Maria a santa Caterina Labouré, mentre le spiegava l’immagine della futura medaglia miracolosa. Cosa vuol dire questo se non che la preghiera è la cosa più necessaria? Sì, gli anelli della Vergine si riempiranno di luce e questa luce diventerà aiuto concreto per le persone per cui preghiamo se avremo un cuore di figli che si fidano di Dio e della sua infinita tenerezza verso ciascuno.

sabato 5 agosto 2017

Senza paura

«Gesù si avvicinò, li toccò e disse: “Alzatevi e non temete”. Il Vangelo di questa domenica (cf. Mt 17,1-9) va al cuore della nostra fede: l’incontro personalissimo con Gesù. Pietro lo ricorderà nella seconda lettura: non siamo andati dietro a una favola, ma abbiamo toccato con mano la sua persona. Come a dire: Gesù l’ho incontrato! Perciò si capisce la schiettezza dei santi, la loro creativa libertà. Se lo hai incontrato, non ti interessa più barare, non fai più nessuna moina per difendere un’immagine di te accattivante. Se lo hai incontrato, gradualmente il suo amore intensissimo e infinito ti ha spogliato delle tue molteplici stratificazioni di illusioni e di menzogne e ti ha lasciato tale e quale eri… con la tua ammirabile nudità. Non c’è da vergognarsi, perché scandalizzarsi di essere quelli che siamo! Siamo creature amate, create dall’amore, “contaminate” di luce, direbbe papa Francesco. Il fatto che siamo anche attraversati da spinte che vanno verso il male, non significa che ci identifichiamo con esse. Significa solo che abbiamo degli indicatori della nostra fragilità che ci aiutano – sì, ci aiutano! – a camminare sulla strada del sano realismo e anche – anzi soprattutto – dell’amore più grande!


Affidarci a Maria ci libera da tutte queste schiavitù mentali, sottili o più evidenti, ma sempre castranti. Pronte a tenerci col morale basso come se questa vita dovesse darci qualcosa e noi non lo riceviamo. Ma non è così che funzionano le cose nella realtà: siamo noi che in comunione con Gesù, nostro unico Salvatore, dobbiamo sentirci responsabili del mondo e portare speranza dove non c’è nessuna apertura a Dio e dove si rischia di disumanizzarsi. Allora affidarci a Maria nello spirito di san Massimiliano significa oggi alzarsi e non temere, perché se abbiamo visto il Signore, la vita non è più un problema, è invece il luogo in cui - con la forza che ci viene dal saperci amati e sostenuti - noi facciamo la differenza. Porgere la mano agli infelici, diceva il nostro Massimiliano. Fare di tutto perché a chi ci avvicina arrivi un raggio di bontà che gli faccia sentire nostalgia della bellezza divina. Maria è stata donna forte, coraggiosa, sempre proiettata in avanti, una donna che non si è mai voltata indietro, non ha esitato. Ha visto Dio, ne ha fatto esperienza, e poi ha fatto della sua vita un dono. Impariamo da lei, dai santi, a rafforzarci nella stima interiore, quella stima che ci fa dire: “Mi alzo Signore e vado, senza paura, perché ora che ti ho incontrato, sono una missione su questa terra. Ogni mio gesto, azione, pensiero, sentimento dovrà collegare gli altri a Te”. L’affidamento a  Maria è un gesto dinamico, ci conduce sempre oltre… fino agli orizzonti più inesplorati dell’amore. Che sia creativa la nostra vita, che sia amore! 

sabato 29 luglio 2017

La perla più bella

La perla preziosa di cui parla Gesù in questo Vangelo domenicale (cf. Mt 13,44-52) è Lui stesso, “sole” di bellezza, come lo definì santa Caterina da Siena, la Persona Divina per la quale vale la pena – ieri come oggi – vendere tutto per possederla. A tutti è concesso – attraverso modalità sempre nuove – di venire in contatto con il Signore. A Lui è piaciuto venirci incontro – ci ricorda la Chiesa – e rivelarci fin dove a noi era possibile - e anche oltre talvolta – se stesso. Non cose, non compensazioni alle nostre seti disordinate e ai nostri bisogni più immediati, ma se stesso, la sua Persona, che appaga ben altra sete, quella d’amore, di senso, di eternità. Gesù, mentre ci affascina con i suoi racconti densi di immagini plastiche, ci suggerisce concrete modalità per attingere al suo amore, per farne esperienza concreta. In queste scene di tesori nascosti e inaspettatamente trovati e di perle luccicanti comparse tra altre più comuni come per magia, resta necessario un atteggiamento: la ricerca. Non basta rivolgersi un attimo a Lui, non è sufficiente cercarlo quando capita o se ne ha bisogno, la tensione verso di Lui va alimentata e assecondata senza sosta perché possa diventare vitale. Se c’è un sacrificio assolutamente necessario nella nostra vita cristiana, è quello che si deve fare nel dire no a tutte quelle suggestioni che attirano la nostra attenzione. Si tratta di fare sempre scelte nette, che tagliano questi influssi e vanno nella direzione dell’adorazione. Senza contatto con la Parola quotidiano, senza preghiera e colloquio con Lui, senza una vita offerta e donata, diventa più difficile per il cuore attingere alla sua sorgente segreta. E quando si allenta il contatto con la parte più vera di noi – il “centro o nucleo interiore” come diceva Edith Stein – si allenta anche con Dio, perché il nostro centro è “ancorato all’alto”. È fondamentale conoscerci, sapere come funzioniamo, per fare scelte di libertà, non indotte dall’esterno, ma volute perché valutate buone.

Maria in questo ci è madre e maestra. Ad alcuni la sua vita non pare nulla di eccezionale tanto è stata ordinaria, nascosta e segnata dal limite. Se si pensa agli anni trascorsi a Nazaret, sembra di poter dire che quasi nulla di quello che le era stato promesso aveva trovato un’espressione visibile. Tanta grandezza eppure la vita sua e di Gesù trascorreva esattamente come quella degli altri. Ma questa analisi non ci convince. Maria aveva una luce negli occhi, che era quella “quantità di luce” - direbbe papa Francesco - che aveva nell’anima. Essere in comunione cosciente con Dio non è lo stesso che vivere spensierati senza mai dare spazio al proprio mondo interiore e a quello che lo abita. La perla preziosa che Maria ha trovato è l’amore di Dio. Per esso ha lasciato tutto nel vero senso della parola. Ha proprio deciso fermamente e senza mai voltarsi indietro di adattarsi al progetto divino, qualunque forma avesse assunto e in qualunque luogo e circostanza l’avrebbe condotta. Maria “trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra”. Affidarci a lei significa sganciarci una volta e per sempre – anche se in concreto gradualmente – da ogni idolo o schiavitù, primo fra tutti la nostra stessa volontà, per dare credito e seguire le ispirazioni dello Spirito Santo, lasciando che Cristo possa vivere in noi. Questo accade nella semplicità della vita, il luogo scelto da Lui per farci camminare, crescere e maturare fino ai frutti più belli, spesso inaspettati, risultato della sua libertà creatrice. Solo chi lo segue anni e anni nell'umiltà, vedrà le cose grandi da Lui promesse. È il suo stile, semplicissimo eppure immenso, capace di stupirci sempre e nuovamente. Come il mercante che quando meno se lo aspettava, si trovò tra le mani la perla più bella del mondo.

sabato 22 luglio 2017

Il bene è più forte

L'elemento che accomuna le tre parabole del Vangelo di questa domenica (Mt 13,24-43) è la sproporzione tra il bene e il male a livello dell'apparenza, mentre a un livello sostanziale - e dunque meno visibile - il bene vince di gran lunga. La zizzania è un'erbaccia infestante che affonda le radici molto in profondità e si fonde e confonde con le piante sane quasi sopravanzandole. Il granello di senape è tanto minuscolo che nessuno giurerebbe sulla sua riuscita. Eppure nel tempo cresce e si impone nel giardino fino a diventare un albero così robusto da poter accogliere e dare riparo agli uccelli. Così il lievito, che quasi si disperde e sparisce all'interno della massa di farina eppure ha un forza tale da farla diventare enorme. Cosa vuole dare Gesù al nostro cuore, quale nutrimento desidera offrire alla nostra anima? Quali prospettive per il futuro? Il conforto che riceviamo riguarda il modo di agire di Dio nella storia e nella mia storia. Il suo esserci è tanto profondamente integrato con il nostro che se non attiviamo sempre e nuovamente la fede non lo vediamo. Ma basta chiudere gli occhi e riflettere sulla nostra vita, da riconoscere immediatamente la sua presenza, il suo passaggio, lo stile con cui ha operato e opera. Vediamo crescite che mai avremmo potuto realizzare da soli e ci rivolgiamo a Lui, sappiamo che dietro c'è Lui e la sua regia sapiente. Comprendiamo allora che ciò che più Lui ama è il preparare vie di salvezza nel tempo, attraverso percorsi che si snodano in luoghi e modalità assolutamente imprevedibili. Qualcosa della sua logica  ovviamente è fisso, e fa parte del suo stile, che vediamo narrato in tutta la storia della salvezza, altro invece è frutto della sua creatività e soprattutto si adatta a ciascuno di noi, è l'abito personalizzato che come Padre amoroso ci confeziona.

Il messaggio allora è chiaro: "Non aver paura di sprecare la tua vita per me, di perderti dietro le mie vie, di darmi fiducia, di puntare sui valori spirituali della preghiera e dell'adorazione... nel lungo tempo vedrai buona parte del mio disegno e arriverai a stupirti tante volte perché dovrai riconoscere che quello che sta fiorendo attorno a te è opera del mio amore". Per assumere questo atteggiamento abbiamo bisogno di guardare a Maria. La sua umiltà le ha fatto accogliere serenamente le vie di Dio e le ha dato il coraggio di dare fiducia al buon grano, al piccolo granello, all'invisibile lievito. Maria non ha cercato,  come direbbe san Francesco, una santità che appaia all'esterno, quanto la santità che si nutre di preghiera, e su questa crede, spera, offre, soffre, intercede. Gesù ha voluto regalarci la grandissima certezza che viene dal fidarsi. Non dal compiere chissà quali cose, ma semplicemente dal fidarsi. Sì, qualunque prova ci stia facendo tribolare, rendiamoci conto che niente è fuori dell'amore di Dio; dunque se avremo fiducia nella sua potenza, coltivando nel cuore lo spazio per l'incontro con Lui, sapremo anche vedere pian piano come il suo progetto si va realizzando, armonizzando - come solo Lui può e sa fare - tutte le fonti di contraddizioni e di dolore. Maria a Pentecoste è l'esempio concreto di questo discorso: lei che aveva attraversato con fede il tunnel del dolore, si ritrova piena di amore e di apertura alla vita, protagonista di una impresa rigenerante. Ogni semino accompagnato con serena fiducia nel suo processo evolutivo, diventa fattore di vita, speranza per sé stessi e per il mondo.

sabato 15 luglio 2017

Il 100 di una vita piena

"Una parte del seme cadde sul terreno buono e diede frutto: il 100, il 60, il 30 per uno" (Mt 13,1-23). Questione di accoglienza, sembra dirci Gesù in questo Vangelo della domenica. La vita divina è un dono per tutti. Il seminatore non è avaro né di parte. Tutto quello che ha, lo elargisce con larghezza, con generosità spingendosi anche nei luoghi in cui - umanamente parlando - ci sono poche possibilità di riuscita. Durezze e aridità sono le tante forme di difesa con cui il cuore dell'uomo evita il confronto con sé stesso e con la verità. Il risultato però è mortificante: si finisce inariditi, soffocati e bruciati dal restare ripiegati su se stessi. Una vita senza ossigeno né fecondità. È vero, quando Dio entra nella nostra vita, non lo fa per farci rimanere tale e quali a prima. La sua creatività d'amore ci spinge sempre a nuove conversioni. Dopo che per anni abbiamo lavorato su un aspetto del nostro atteggiamento interiore, ecco che Lui ci raggiunge con nuove chiamate. Potature necessarie perché la nostra pianticella dia frutti abbondanti. Capire questa pedagogia di Dio Padre ci è di grande aiuto nel cammino. Ci fa guardare le vicende della vita con i suoi occhi. Quello che in apparenza può limitarci e porci dei freni nella realizzazione personale, diventa invece il modo migliore per trasformarci nel profondo e, attraverso percorsi anche dolorosi, generarci a vita nuova. Quante volte  mentre viviamo dei passaggi vitali importanti, ne sentiamo il peso, e tuttavia sappiamo che in qualche modo è un bene per noi e in seguito - col senno di poi - riconosciamo le orme di Dio e siamo capaci di vederne i frutti. Sappiamo che siamo cresciuti, tocchiamo con mano l'ulteriore cambiamento, gustiamo questo nuovo dono di libertà. E non riusciamo più a considerare negativo quel tempo, perché è stato proprio il restare in quel tempo a far morire qualcosa in noi perché potesse nascere il nuovo.

L'accoglienza della Parola è questo accettare il processo e molto altro ancora. Lo sa bene Maria, che ha inteso la sua esistenza come un itinerario a tappe in cui imparare da Dio a vivere. Lei è l'unica persona in cui il seme gettato ha dato il 100 per uno. Per noi è rassicurante sapere che le cose in lei sono andate così. Perché guardando ai distacchi e alle sofferenze che hanno costellato la sua vita, impariamo a non valutare superficialmente le prove e le fatiche legate al vivere, ma ci impegniamo come lei a glorificare Dio Padre con la testimonianza della nostra gioia coraggiosa. I santi, è stato detto,  sono il successo di Dio,  la dimostrazione di cosa può fare Dio quando la creta di cui siamo fatti non si oppone alla sua mano creatrice. Santa Maria ci fa desiderare la dolcezza di una vita accogliente, lasciata alle mani sapienti di Colui che è Padre e dà fiducia a ciascun suo figlio,  dotandolo delle opportunità per dare il meglio di sé e magari - di donazione in donazione - avvicinarsi a quel 100 che è la vita piena e realizzata. 

sabato 8 luglio 2017

Umili di cuore

"Imparate da me che sono mite e umile di cuore" (cf. Mt 11,25-30). Per chi sa ascoltare il proprio cuore e dare tempo e spazio all'interiorità queste parole di Gesù risultano comprensibili. C'è una gioia - la gioia vera- che nasce dal gustare Gesù come unica ricompensa. La sua lode al Padre nasce dalla presa di coscienza profonda che non c'è felicità su questa terra se non nel viversi e sapersi dentro questo abbraccio. Percepiamo anche una vena di nostalgia che passa nel cuore del Signore, mentre sente che tanta bellezza, tanta felicità e gioia sono vissute da pochi. Un dono per tutti ma che solo i piccoli sperimentano. Cuore umile e bruciante di amore  che vorrebbe solo trovare altrettanti cuori pronti a mettere in secondo piano tutto e focalizzarsi su ciò che conta. Quanta nostalgia avvertiamo anche noi! Quante volte nelle nostre case, nelle nostre realtà, nelle relazioni,  nei gruppi percepiamo che ci si attacca a tante cose inutili e secondarie mentre ci sarebbe invece da saltare di gioia per il dono che supera ogni intelligenza e cioè la presenza di Dio in noi e in mezzo alle nostre cose. Lui vivo con noi, il Padre sempre al nostro fianco, nel bene e nel male, sempre dalla nostra parte, a camminare con noi. Con amore, tenerezza e misericordia. I tocchi della sua consolazione.

Sì, il pensiero corre subito a Maria, nostra madre. Lo sappiamo, il suo dono per eccellenza è l'umiltà. Ma come l'ha vissuta? Come ha declinato nelle sue giornate questo atteggiamento di fondo? Siamo lontani dal suo cuore. Perché in noi si solleva sempre la sottile ombra della superbia, che ci fa avere pretese, ci fa puntare i piedi, ci fa lamentare, ci fa diventare criticoni e persone spesso scontente, bravissime a rilevare i difetti e altrettanto brave a nascondere tutto il bene che c'è. Ma per la grazia che ci salva da noi stessi, troviamo continuamente salvezza nell'affidarci a lei. Basta un semplice sguardo, come ci ricorda san Massimiliano Kolbe, gettato verso di lei per smontare quegli atteggiamenti di pretesa e metterci ancora una volta in contatto con la parte più vera di noi. Che parla il linguaggio della fiducia, dell'umille accoglienza della vita così com'è, e ci fa sentire accanto al nostro il cuore della Madre, che ci incoraggia a conservarci dell'umiltà, tutto aspettando dalla Provvidenza che "ottimamente pensa a ognuno di noi" nel migliore dei modi. Ci uniamo a te Maria, per ringraziare insieme Gesù tuo figlio per la Parola di questa domenica, che sussurra a ciascuno di noi. "Se sei umile di cuore, sono io la tua ricompensa, e ne avrai gioia vera. Se pretendi che la realtà si adatti a te e risponda alla tue esigenze, forse cerchi altre ricompense. Prendine coscienza e vieni a me,  e troverai ristoro per la tua vita".

domenica 2 luglio 2017

Perdersi per amore

«Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà» (cf. Mt 10, 37-42). Questo il cuore del Vangelo di oggi. Ce lo sentiamo ripetere: fa’ della tua vita un dono, e sembra un discorso semplice e chiaro. Però se Gesù lo ha messo al centro del suo messaggio, significa che per noi non è tanto semplice e immediato. Quello che ostacola la ricezione di una verità simile è la tendenza a trattenere la vita, anche in alcuni suoi aspetti. A volte abbiamo le mani aggrappate al masso delle nostre visioni delle cose e più la vita ce ne distacca, più noi stringiamo i pugni e ci impuntiamo. A volte facciamo muro contro i momenti di distacco e di dolore invece di farci raggiungere dalla luce che – pur in mezzo alle sofferenze – tenta di farsi strada. Altre volte magari siamo nel giusto ed è l’ambiente che ci circonda ad irrigidirsi, a diventare luogo di durezze e di non accoglienza. E in questo caso siamo chiamati a trovare vie alternative, creative, dettate dall’amore. Possiamo pregare, chiedendo al Signore che ci aiuti a non cedere a questa logica e a lavorare nel silenzio con umiltà, avendo fiducia che alla fine il bene trionfa e troverà la via.


Sì, ancora una volta Maria ci è madre e maestra di vita e di atteggiamenti costruttivi, creativi, che danno vita, aprono al futuro, al cambiamento possibile. Quando siamo noi a essere induriti, Maria ci infonde serenità e fiducia perché ci apriamo gradualmente allo Spirito e ci lasciamo attraversare dalla vita, senza paura. Quando sono gli altri a costituire un problema, Maria ci fa desiderare vie di preghiera e di pace, ci suggerisce strade nuove, interiori, fatte di offerta e di fiducia, di speranza nella sua azione materna. Dove non arriviamo noi, arriverà lei. Si tratta in fondo di umiltà e fiducia, atteggiamenti tipicamente mariani, insieme alla purezza, alla bontà, all’abitudine a posare sugli altri uno sguardo amabile, paziente, che sa che non tutto si può cambiare in questa vita – come ci ha ricordato il Papa – e che ciò va accettato, aprendosi al modo di amare di Dio, che non ha trattenuto la sua meravigliosa vita ma l’ha spesa per noi, l’ha spezzata perché desse vita a noi.

sabato 24 giugno 2017

Confida in Dio e in Maria e avanti!

C’è paura e paura! Una paura che nasce dall’avere dubbi sul senso della vita e che quindi è il segno di una mancanza che va colmata con una ricerca sincera della verità. E una paura che potremmo definire “sana” perché deriva dalla consapevolezza del potere della nostra libertà, che può spingersi così tanto in là nell’adesione al male da farci rischiare la vita eterna. È come se Gesù oggi ci dicesse: “Non avere paura, figlio, figlia, ma è bene che tu abbia timore davanti alle possibilità della tua libera scelta”. Per chi riconosce Dio come Padre, la vita rinasce. Sotto il suo sguardo e la sua protezione non c’è nulla da temere, altro che assicurazioni sulla vita! Gli occhi del Signore sono sempre su chi lo teme, su chi spera nella sua grazia, su chi, in definitiva, vive da figlio.

Perfino Maria, l’umile, piccola serva del Signore, è rimasta turbata e scossa davanti alle manifestazioni di Dio, e ha sentito quel sano timore davanti al Padre celeste che l’ha portata a dire i suoi sì. Maria sapeva che solo Dio conosce la via da percorrere, la nostra intelligenza è limitata, e per quanto retta e ben orientata, è pur sempre carente per sua natura. Ecco allora che affidarci a lei ci fa entrare in questo dinamismo di fiducia per cui sappiamo che neppure un capello del nostro capo andrà perduto e che la parte che spetta a noi in questo meraviglioso progetto di amore e di salvezza è quello dell’accoglienza che si fa vita. Una vita che diventa testimonianza.

Gesù parla di luce e di tetti per indicare che non dobbiamo avere alcun timore nel vivere in trasparenza tutte le esigenze del Vangelo. Si deve vedere che siamo suoi figli. Perché in questo modo gli occhi di chi ci guarda saranno stimolati a sollevarsi verso l’alto. E a porsi qualche domanda sulla vita e sulla vera direzione di essa. Allora comprendiamo perché san Massimiliano Kolbe ricordava di «non porre la fiducia in te stesso; in ogni cosa confida totalmente nella misericordia divina che ti conduce per mezzo dell'Immacolata»: non per scarsa autostima, ma perché aveva coscienza di non poter cogliere, con la sua mente limitata, se non un barlume della verità e che quindi senza un fiducioso e costante abbandono nelle mani del Padre e dell’Immacolata né lui né altri sarebbero riusciti a realizzare, nella vita, quanto Dio aveva pensato. Allora sentiamoci spronati da padre kolbe che parlando al nostro cuore ci ripete: «Confida illimitatamente nell'Immacolata e avanti!».

La Via della felicità