giovedì 24 settembre 2015

Ovunque amore


«Lasciarsi condurre. Accettazione della parola di Dio “e la custodisce” (cf. Lc 2, 19, 51). Maria stessa fa tutto. La creazione è un frutto dell'amore. Ovunque amore. Non confidare in se stessi, ma nell'Immacolata».

Pochi mesi prima di essere arrestato, nel ’39, Massimiliano Kolbe scrive queste parole, frutto della contemplazione profonda del mistero di amore di Dio e di Maria. Sta per avvicinarsi il dolore più grande per lui e per tanti uomini, e forse anche per questo il suo cuore sente di più, è capace di una comprensione più piena del senso delle cose e della vita umana. L’occhio del cuore, liberato dalle suggestioni mondane, sa cogliere l’essenziale. Qual è questo tutto che conta? È l’amore di Dio, che avvolge ogni cosa, ogni respiro vivente, che è invisibile ma sensibile, come il vento, che quando ti afferra si fa sentire, eppure nell’afferrarlo, ti sfugge.


Ovunque amore. Per chi legge la realtà col filtro della fede in Dio, ovunque è amore. Questa visione che si fa certezza dà la spinta per non farsi sconvolgere dagli eventi, talvolta tanto duri. Maria stessa fa tutto, ovvero se confidiamo in lei, se viviamo in relazione con lei, con questa madre sempre vicina, troveremo non solo le ragioni ma anche la forza interiore per continuare a sorridere. La creazione, noi, tutto ciò che è, deriva da un cuore che ci ama, quello di Dio. E Maria ci aiuta a restare uniti a questo cuore amante del Padre, perché ci vuole bene sul serio. Le stiamo a cuore, siamo l’oggetto delle sue preoccupazioni e cure materne. Sempre il suo sguardo si posa su di noi per cogliere le nostre lacrime e i nostri sorrisi, e la sua mano si fa carezza e si fa fermezza, è la mano di una madre che non ci abbandona mai.  

sabato 12 settembre 2015

Il tutto di Dio


«Devo soffrire, morire e poi risorgere» (cf. Mc 8,27-35). Gesù questa domenica apre il suo cuore e pronuncia parole intense, che sono la sintesi della sua esistenza. Rappresentano il significato profondo della sua come della nostra vita. Quando si è immersi nel non senso, nel dubbio, nelle richieste di significato, si è tremendamente grati a chi arriva con una luce capace di tirarcene fuori. Questa è la forza della proposta di Gesù. Dire sì a un cammino accidentato e impervio ma rivolto decisamente e infallibilmente alla verità, alla vittoria. L’affidamento a  Maria ci aiuta a metterci in questa disposizione di vita. Maria infatti non è solo nostra madre ma anche un esempio concreto di come camminare in questo mondo. La sua maternità perciò tende a farci assumere i suoi stessi atteggiamenti, che poi sono quelli di Gesù, quelli che lei ha imparato da suo Figlio, nei lunghi anni in cui ha osservato e meditato tutto quello che Gesù diceva e faceva.

Quando Maria è venuta a conoscenza di queste parole di Gesù, le ha fatte sue. Certamente ha avuto paura, ha desiderato che quei due verbi – soffrire e morie – non riguardassero la persona che più amava al mondo. Dopo avere ascoltato tante parole di conforto e di fiducia da Gesù, ora le sembrava di sentire discorsi che stonavano, che andavano verso altre direzioni. Ma a differenza di Pietro, che ascoltando l’istinto di sopravvivenza subito mise un muro tra sé e il dolore, Maria invece non sollevò alcuna difesa. Facendo leva sulla fede, sulla fedeltà del padre Celeste, sulla sua Parola di vita, mise a tacere l’istinto e scelse il valore in cui credeva. Prese il tutto di Dio, non il frammento. Non si fermò solo al soffrire e al morire, ma abbracciò anche il risorgere.


Da Maria siamo chiamati ad imparare questa modalità di lettura della nostra vita. Non solo un aspetto, non solo un frammento, ma il tutto. E quando si dà ospitalità al tutto di Dio, allora come lei si entra nella dimensione liberante dell’accoglienza. Si fa l’ingresso nel regno della fede, in cui gli opposti si armonizzano, le asprezze sono ammorbidite e arrotondate, gli aspetti più faticosi e ardui sono integrati. Non è poca cosa giungere a questa sapienza, non e poca cosa lasciarsi associare da Cristo al mondo del dolore con il cuore rivolto alla risurrezione. Perciò con Maria impariamo a vivere, perché impariamo a fronteggiare ciò che ci fa più spavento: il dolore nostro e altrui.  

mercoledì 2 settembre 2015

Ardere d'amore


Immersi come siamo in un mondo che è attraversato da tantissime emergenze, corriamo il rischio di sentirci inutili... come contribuire al bene? e donare quella gioia che Gesù dona alla nostra anima? San Massimiliano Kolbe ci dà una bella scrollata e ci indica una via semplicissima. Non si tratta tanto di impegnarsi a contrastare il male, quanto, una volta evidenziato anche il male, di dare tutto se stessi al Signore attraverso Maria. 

Tendere con l'energia vitale che abbiamo verso questa unione con loro, svegliarci alla loro presenza, prendere coscienza che siamo in relazione con loro. In questo modo non saremo più occupati a rattristarci per tutte quelle cose che non vanno e che vorremmo diverse, ma spingeremo oltre la nostra capacità di vita e di donazione, come ha fatto Massimiliano, con la gioia che gli veniva dal sentirsi amato. 

Oggi padre Kolbe, come molti lo chiamano sentendolo ancora padre affettuoso e vicino, ci fa smuovere dalle nostre sedie e ci dice che ardere d'amore verso la nostra Madre celeste è il segreto per sentirci vivi e utili dando un contributo reale a migliorare gli altri con cui viviamo. Non c'è gioia più grande che vedere gli altri fiorire di quella stessa luce che un giorno ha fatto fiorire noi. 

La Via della felicità