sabato 29 aprile 2017

Cammin facendo

“In cammino per un villaggio di nome Emmaus” (cf. Lc 24,13-35). Il viaggio, il cammino, da sempre intensa metafora della nostra vita, chiamata a un progresso, a una crescita, a trascendersi, e dunque per sua essenza in movimento, mai statica, pena la stagnazione, l’asfissia e la sterilità. Ma il viaggio è anche caratterizzato da incertezza, dall’andare incontro all’ignoto, e dunque contiene in sé una tensione, mai risolvibile, tra dentro e fuori, conosciuto e sconosciuto, cose assodate e novità. Su quella strada fuori da Gerusalemme i due discepoli la sera di Pasqua tentarono la fuga. Quando il cuore proprio non ce la fa a farsi toccare da una sofferenza troppo cocente, i piedi si dirigono ovunque purché lontano dalla fonte di quel male. In quel frangente Gesù si avvicina e si fa compagno di strada. Allora il cammino può anche essere una fuga, ma è sempre meglio della stasi. Camminare è già di per sé un primo rimedio. Certo i due si mostrano tanto intenti  a rimuginare da non accorgersi che quell’uomo al loro fianco, spuntato dal nulla, aveva qualcosa da dirgli di estremamente importante. Allora non basta camminare, se siamo presi dai nostri pensieri come il ferro dalla calamita. Il viaggio però aiuta, perché diventa condizione per staccarsi da sé e iniziare a guardarsi attorno, a farsi interrogare da altro che non siano i miei pensieri e ragionamenti e sentimenti. È un’esperienza da fare. Non se ne può parlare. È il camminare in sé ad attivare nuovi dinamismi e farci percepire altre prospettive. E se va bene, cioè se siamo ben disposti, a farci incontrare Lui stesso. 

Pensando a Maria, ci viene in mente il suo custodire la Parola di cui Luca ripetutamente ci parla, per sottolinearne la pregnanza per la fede. Maria non ha faticato a riconoscere il Risorto, perché i suoi occhi già lo vedevano. Non era presa dai suoi sentimenti di dolore e neppure dai suoi pensieri e dalle domande che inevitabilmente dovettero scuotere la sua interiorità, troppo grande era il mistero della Croce. Non ha faticato perché era già presa totalmente dal mistero di Dio. La sua voce ascoltava senza sosta, il suo volere desiderava, la comunione con Lui viveva. Impregnava ogni gesto e pensiero di Lui. E così Dio poteva vivere in lei. Li vediamo con plasticità davanti a nostri occhi, i due di Emmaus, impegnati  in discorsi autoreferenziali, e Maria, intenta in un silenzio pieno di profonda riflessione e adorazione del mistero. Maria ci mostra quale atteggiamento di fondo avere davanti a tutte le situazioni della vita, comprese le dolorose. L’unico atteggiamento saggio e capace di donare vero conforto, vera consolazione, è trattenersi dalla dispersione, dallo sfogo, e gettarsi tra le braccia di Dio, nella preghiera umile, fiduciosa; è il restare sulla Parola, farsi sostenere da essa e in essa trovare la via giusta per interpretare il vissuto. 

Il fuoco d’amore che la voce di Gesù aveva acceso nei due discepoli senza che se ne rendessero conto sul momento, tanto erano presi da se stessi, è lo stesso fuoco che Maria, come roveto, custodiva nel cuore mentre aspettava che Gesù le si mostrasse risorto. Ogni Parola di suo Figlio infatti le era rimasta scolpita nella memoria ed era diventata il suo vangelo. Sì, lo sapeva bene che doveva soffrire e morire, e che il terzo giorno sarebbe risorto. Ecco che Maria lo riconosce anche nel buio del dolore perché quella Parola che adorava nel cuore era suo Figlio stesso presente in lei, e che misteriosamente la preparava all’incontro. La strada verso Emmaus è il nostro quotidiano. Gesù vuole percorrerla con noi. E farsi riconoscere. Non per restare fuori di noi, ma per agire con noi e in noi. Si fa pane spezzato per noi e in questo modo ci conferma su questa profonda verità. Il cristiano non si limita a camminare con Gesù ma lo lascia vivere nel suo cuore e nella vita, come Maria.

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