
L’affidamento a Maria
ci spoglia di tanti rami secchi o inutili, e ci fa entrare, se vissuto con vera
fede, in un’essenzialità davvero liberante. Ci fa contattare il desiderio vero
e profondo che abbiamo, quello di amare alla maniera di Dio, e ci fa vivere
tendendo a questa meta. Così la nostra sete e la nostra fame non vengono sostituite
– ingenuamente – con i tanti bisogni indotti dal mercato, ma sono riconosciute
e accolte per ciò che sono e significano. Ci parlano cioè della nostra apertura
al divino, del nostro desiderio di Dio. Così, senza farci disperdere dal mondo,
restiamo nel mondo ma orientando i desideri e in qualche modo “contendendoli”
perché vadano nella giusta direzione. È stato notato da alcuni studiosi che
solo in questa nostra epoca il desiderio non è regolato da valori superiori.
Prima, nei secoli precedenti, c’era l’educazione del desiderio. Forse allora
uno degli atteggiamenti interiori più sani che come cristiani possiamo assumere
è proprio la sobrietà tutta mariana, che mira a focalizzarsi sul buono che ci
abita liberandoci dalla tentazione di farci attirare da altre fonti. Faremo l’esperienza
gioiosa di sentirci sempre nuovamente riportati a casa – nella nostra casa
interiore – da quel pane vivo che mentre nutre il nostro spirito, ci riordina
interiormente facendoci anche accogliere sempre di più l’altro mistero che
siamo noi, fragili vasi d’argilla abitati da uno spirito infinito.
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